Il lavoro qui proposto rappresenta la fase conclusiva
del progetto “MALVA” (MAntova LongeVA) che, tra i primi
in Italia, ha descritto le caratteristiche socio-demografiche, lo
stato di salute e molti aspetti della qualità della vita della
popolazione estremamente longeva. Tale indagine, condotta nel 1998,
era rivolta a tutti i soggetti ultranovantottenni della provincia di
Mantova e aveva arruolato, previo consenso informato, i due terzi dei
soggetti eleggibili (77 su 117 ultranovantottenni residenti nella
provincia di Mantova alla data del 31 marzo 1998). I partecipanti
erano stati intervistati mediante somministrazione di un questionario
ad hoc ed erano stati sottoposti a visita medica, test di
funzionalità e prelievo di sangue.
A conclusione dello
studio, si intende effettuare una analisi della sopravvivenza della
popolazione ultranovantottenne della provincia di Mantova in
relazione ad alcune variabili esplicative. Tutti gli
ultranovantottenni censiti (partecipanti e non) sono stati infatti
seguiti nel tempo, per un periodo di osservazione di nove anni,
durante il quale sono state registrate le date di morte dei soggetti
deceduti.
In particolare, nel sottogruppo dei partecipanti al
progetto “Malva” si vuole testare la validità
delle variabili recentemente proposte per la definizione dello stato
di salute dei centenari (Franceschi et al. 2000, Aging Clin. Exp.
Res. 12, 77–84) quali determinanti della sopravvivenza della
popolazione estremamente longeva.
I metodi utilizzati sono le
curve di sopravvivenza di Kaplan-Meier e il modello di Cox
robusto.
Si sottolinea l’interesse e l’attualità
delle problematiche relative allo stato di salute e la qualità
della vita di una fascia di popolazione che si sta notevolmente
incrementando in termini sia assoluti che relativi: nella provincia
di Mantova, nell’arco di nove anni, il numero di centenari è
praticamente raddoppiato (gennaio 1997: 36 centenari, prevalenza
9,8/105; gennaio 2006: 68 centenari, prevalenza 17,3/105).
L’analisi antropologica degli inumati delle necropoli di età longobarda di San Faustino a Casalmoro e di via San Martino a Guidizzolo, nel territorio mantovano, si inserisce nella serie di ricerche sulla controversa questione dell’attribuzione etnico-antropologica di sepolture di epoca “barbarica” e ha lo scopo di far luce sulle problematiche relative all’etnicità di popolazioni del territorio basso padano soggetto a invasioni in età longobarda. Le analisi morfometriche e paleodemografiche dei reperti, la rilevazione delle lesioni paleopatologiche delle ossa nonchè quelle dell'apparato masticatorio, evidenziano una notevole omogeneità fra i due gruppi di individui oggetto di studio. Nello specifico, in entrambe le necropoli si registra un'elevata mortalità infantile, maggiore per Guidizzolo (45,7%), significativa anche per Casalmoro (26,4%); molto simile risulta l'andamento della mortalità fra gli adulti. Anche il confronto tra 19 variabili antropometriche non è significativo (P> 0,5), il che conferma come le due necropoli siano affini. Riguardo le patologie, a Casalmoro si registra un 48,1% di affetti da cribra orbitalia, paragonabile al 48,07% di Guidizzolo. Allo stesso modo, per le patologie dentarie, in relazione all'ipoplasia dello smalto, a Casalmoro è presente nel 17,1% degli individui, così come a Guidizzolo nel 15,4%; invece per quanto riguarda la carie, a Casalmoro si riscontra un 14,7% di denti cariati, mentre a Guidizzolo si ha un 21,4%. Al fine di evidenziare eventuali elementi di carattere antropologico utili per l’attribuzione etnica degli inumati delle due necropoli, i risultati emersi dalla nostra ricerca sono stati comparati con quelli ottenuti in studi analoghi eseguiti su alcune necropoli coeve, definite “longobarde” sulla base del corredo associato alle sepolture. Dai risultati conseguiti si è confermato un quadro piuttosto complesso della composizione etnico-antropologica dei gruppi umani che hanno popolato il territorio basso padano in età longobarda: in primo luogo per la difficoltà di riconoscere caratteristiche fisiche inequivocabilmente riconducibili all’ethnos longobardo in territorio italico; in secondo luogo perché i dati antropometrici registrati negli inumati dei due sepolcreti mantovani si collocano in una posizione intermedia rispetto a quelli registrati nelle altre serie prese a confronto. Tali considerazioni portano a concludere che per gli individui sepolti a Casalmoro e a Guidizzolo non sembra possibile riconoscere un’appartenenza etnica “pura” ma sembra plausibile ipotizzare una mescolanza, forse anche a livello genetico, fra la popolazione autoctona e gruppi di invasori longobardi. Ciò risulterebbe in accordo con gli attuali orientamenti emersi dalla ricerca archeologica, sempre più propensi a parlare di ibridazione tra le due culture, piuttosto che di discriminazione etnico-antropologica. Un possibile chiarimento di questo problema ci si propone di ottenerlo attraverso l’analisi del DNA estratto da reperti provenienti da diverse necropoli di età longobarda, che potrebbe fornire informazioni sulle dinamiche che hanno interessato il popolamento dell'Italia in questo periodo, da parte di gruppi umani di provenienza nordica.
Con il presente studio si intende investigare la
relazione tra stagionalità delle nascite e fattori climatici
nell'Italia contemporanea (1993-2005). Le condizioni climatiche sono
state spesso chiamate in causa per spiegare specificità dei
modelli stagionali di nascita in vari paesi del mondo. Tuttavia,
l'industrializzazione, il cambiamento dei ritmi lavorativi e dei
luoghi di lavoro, il maggior tempo passato al chiuso piuttosto che
all'aperto hanno contribuito, secondo molti, ad indebolire
l'influenza del clima sui ritmi riproduttivi delle popolazioni umane.
Questo studio prova come nell'Italia contemporanea, la
stagionalità delle nascite non solo non si conformi pienamente
al modello europeo, presentando una distribuzione mensile delle
nascite di forma bimodale con picchi in maggio e settembre, ma anche
che i fattori climatici giocano ancora un ruolo non secondario.
Variazioni di temperatura e, pur in modo attenuato, del fotoperiodo
ancora influenzano la stagionalità delle nascite, soprattutto
in relazione al picco di maggio. Entrambi i parametri ambientali
sembrano esercitare un effetto negativo sui concepimenti di 9 mesi
prima, cioè in agosto, mentre meno efficace sembrerebbe essere
il ruolo esercitato sui concepimenti di dicembre (nascite in
settembre). Tale risultato è risultato omogeneo sull'intero
territorio nazionale. Infine, l'intensità della relazione tra
temperatura e stagionalità delle nascite è emersa con
forza in occasione della torrida estate del 2003, determinando la
scomparsa totale del picco di maggio dalla distribuzione mensile
delle nascite dell'anno successivo.
Gli Autori presentano i risultati dei rilievi
antropologici e paleopatologici condotti su 128 inumati della
necropoli sannita di Opi-Val Fondillo, sulle sponde del fiume Sangro
nel Parco Nazionale d’Abruzzo. La struttura demografica della
comunità è caratterizzata da un elevato valore della
Durata Normale di Vita e della speranza di vita alla nascita, nonché
da una ridotta mortalità infantile rispetto alle altre
popolazioni abruzzesi sia coeve che di epoca storica successiva. Al
di là dei dati paleodemografici, anche altri indicatori
biologici dello stato di salute di una popolazione, come la statura
(che, nel caso di Opi-Val Fondillo, si attesta su valori medi elevati
sia nei maschi che nelle femmine) ed i markers occupazionali (in
particolare le entesopatie e le sindesmopatie), suggeriscono che la
comunità di Opi avesse raggiunto un buon equilibrio trofico
con l’ambiente.
La patocenosi è prevalentemente
costituita da malattie dentarie. Le malattie articolari degenerative,
le malattie infettive ed infiammatorie, i traumi ed i tumori sono
stati diagnosticati solo in una ridotta percentuale della
popolazione.
Il riscontro di parametri demografici e
paleopatologici simili nella limitrofa e coeva popolazione di
Alfedena lascia ipotizzare che la disponibilità idrica e la
ricchezza faunistica e botanica della valle del Sangro,
congiuntamente all’isolamento da altre comunità
dell’Appennino abruzzese, abbia giocato un ruolo importante nel
creare condizioni di vita, economiche e sanitarie, molto favorevoli.
Findings from studies of different
disciplines carried out on Sardinian population have underlined the
peculiarity of the in-land part of the region. Differences between
inhabitants of this area and those of the rest of the region were
traced in several factors such as individual height, longevity,
marriage strategies, cultural uses, dialect variants, genetic treats
and diseases prevalence. Several hypothesises were proposed for
explanation. However, among all geographical isolation appeared a key
factor, as discouraging immigration and favouring endogamy and
consanguinity, has lead to the conservation of a unique genetic pool
and socio-cultural environment (Sanna, 2006).
The focus of
the present contribution is on the investigation of the possible
relationship between individual height and longevity at older ages.
When considering the two variables separately, it emerges that
individuals from the inner part of the region were estimated to be on
average shorter than their Sardinian and national peers (Piras et
al., 2005). While from a demographic point of view, the same
population was included in the Blue Zone, an area where higher
longevity estimates were recorded compared to those of the rest of
the island and to the mainland Italy (Poulain et al., 2004).
According to these results, the following question appeared
legitimate: As in Sardinia the area of greater longevity overlaps
that of lower individual height value; could it be possible that
height and longevity are related?
These two variables proved
to be directly related among other populations, with shorter
individuals recording better survival than tall ones (Samaras et al.,
2003). In order to investigate more in-depth this relationship, data
on around 650 conscripts of the in-land municipality of Villagrande
Strisaili born between 1866 and 1915 was used for analysis. This
village was selected for analysis for two major reasons. On the one
hand, complete and reliable data was available and, on the other
hand, in the identified Blue Zone Villagrande Strisaili recorded the
higher longevity estimates.
A preliminary work (Salaris et
al., 2006) linked complete data from the civil status registers to
the height measurement reported at the time of military checks for
647 conscripts born in Villagrande Strisaili during 50 years
(1866-1915). The relationship between height and longevity was
estimated to become significant among conscripts who survived 70
years old and above. The study looked at correlation and at
comparison of means value of both height and age groups.
Drawn
on these results, the present work aims to go further and to give a
contribution in the debate, proposing a different approach to look at
the relationship between the two variables. The question was
reformulated as follows: According to individual height, do
differences in survival exist among individuals 70 years old and
above? By means of life tables, differential longevity of conscripts
at older ages was investigated through the comparison of age-specific
mortality rates and life expectancy estimates at different life
points at advanced ages.
Gli Autori illustrano i risultati dello studio
antropologico dei resti scheletrici umani provenienti dalle necropoli
abruzzesi di epoca pre-romana di Campovalano, Alfedena e Opi Val
Fondillo.
Le informazioni paleobiologiche hanno consentito di
ricostruire la loro struttura paleodemografica. Particolare
attenzione è stata rivolta alla mortalità dei
fanciulli, parametro demografico che definisce la mortalità in
età pediatrica (0-13 anni). La diagnosi di sesso scheletrico e
la stima dell’età alla morte sono state eseguite secondo
i metodi antropologici classici, basandosi sulla valutazione
morfologica dei caratteri sessuali secondari del cranio e del bacino,
sullo stato di riassorbimento delle suture craniche, sul grado di
scomparsa delle cartilagini di coniugazione e su quello di evoluzione
della dentatura. I risultati della ricerca hanno evidenziato un
ridotto valore della mortalità dei fanciulli che,
congiuntamente alla rarità delle patologie infiammatorie
(Capasso, 2003), suggeriscono che queste antiche comunità
abruzzesi pre-romane vivessero in buone condizioni di vita
igienico-sanitarie e fossero in grado di utilizzare e controllare le
risorse ambientali. Il confronto con i parametri demografici delle
popolazioni abruzzesi conquistate dai Romani dimostrano una
involuzione delle condizioni di vita.
Il fenomeno dell’abbandono dell’infanzia in Italia vede il suo culmine durante il XIX secolo. Le famiglie, in diversi contesti socio-economici, erano dedite a spostamenti e migrazioni stagionali, nonché al lavoro nei campi, pertanto la cura di un nuovo nato poteva mettere a repentaglio la possibilità di fornire sostentamento al resto della famiglia. La presenza su tutto il territorio nazionale di strutture atte all’accoglimento dei bambini abbandonati, se da una parte svolgeva una fondamentale opera di soccorso, dall’altra incrementava il fenomeno. La chiusura delle cosiddette “ruote”, l’ammissione agli ospedali ai soli aventi diritto, come anche i mutati fattori culturali, portarono verso la fine del secolo ad una diminuzione del fenomeno dell’esposizione in Italia. Nel nord del paese l’abbandono dell’infanzia era particolarmente presente e il Ducato di Parma era una delle zone maggiormente colpite. Nella bassa, dove prevaleva un’economia di tipo mezzadrile, ma anche nelle città e nei paesi, numerosi erano i bambini depositati nelle ruote. Gli Ospizi successivamente e nel minor tempo possibile, provvedevano a mandarli a balia presso famiglie che ricevevano un compenso per la loro cura e tutela. Nelle intenzioni dei direttori degli Ospedali gli esposti in queste zone dovevano crescere, imparare un mestiere e nel caso delle femmine contrarre matrimonio. Molti di questi individui si stabilivano sul territorio tanto che, alla metà dell’Ottocento, una buona parte della popolazione di queste zone era costituita da esposti provenienti dall’Ospedale di Parma. Si assiste per tutto l’arco dell’Ottocento ad un flusso di bambini che dall’intero Ducato si spostava nelle vicine zone collinari. In questo lavoro si cerca di mettere in luce, tramite fonti di tipo civile ma anche religioso del territorio di Pellegrino Parmense, non solo gli aspetti demografici di questo fenomeno, ma anche quelli più prettamente bio-demografici. Gli esposti portavano con loro nomi e cognomi di fantasia assegnati dal personale dell’Ospedale e che nulla avevano a che vedere col la tradizione della zona di origine, né con quella di arrivo. Proprio quest’ultima caratteristica li rende facilmente individuabili nelle fonti utilizzate in questo lavoro.
L’intento di questo
lavoro è quello di valutare se nella Sardegna dell’Ottocento
e in quella del Novecento ci siano diversi pattern di relazione
isonimica ed una differente distribuzione dei cognomi.
I dati di
base utilizzati sono stati tratti dai Liber Matrimoniorum di 21
Comuni sardi, considerando per l’Ottocento e per il Novecento
rispettivamente i periodi: 1800-1874 e 1900-1974.
Le distanze
isonimiche tra i Comuni sono state calcolate tramite l’indice
standardizzato di Hedrick (1971).
Il pattern di relazione
isonimica tra i Comuni è stato rappresentato tramite i metodi
di analisi statistica multivariata della Cluster analysis e di
Procrustes, mentre la distribuzione dei cognomi è stata
analizzata tramite l’algoritmo della Self-Organizing-Maps
(SOMs).
Le matrici di relazione isonimica e le SOMs sono state
calcolate sia considerando tutti i cognomi sia escludendo i dieci
cognomi più diffusi nell’Isola.
I risultati ottenuti
indicano che le relazioni isonimiche tra i Comuni rimangono
sostanzialmente simili nel tempo, che le relazioni tra i Comuni
mostrano una maggiore congruenza qualora si escludano i dieci cognomi
più diffusi ed infine che nell’ambito della Sardegna è
possibile individuare delle sottopopolazioni definite da specifici
retroterra geografici e storico-linguistici.
In conclusione,
dall’analisi effettuata risulta una sostanziale stabilità
della distribuzione dei cognomi nel tempo, una maggiore congruenza
dei risultati qualora si eliminino i dieci cognomi più diffusi
e la presenza di sottopopolazioni in Sardegna con un pattern
comparabile con quello ottenuto utilizzando i dati degli ampi
campionamenti sui marcatori genetici classici.
SCOPO DELLA RICERCA
Il presente lavoro si
propone la finalità di illustrare la disciplina scientifica
denominata “fisionomica” applicata alla descrizione del
soma criminale.
MATERIALI E METODI
Si ritiene che le
origini della fisiognomica siano antichissime.
Già per
Platone e Aristotele il corpo è concepito come riflesso
dell’anima.
Nel '600 Cartesio individua i "moti degli
occhi e del volto", come tra i più importanti segni delle
passioni, come pure i mutamenti di colore".
Alla fine del
diciottesimo secolo lo svizzero Johann Lavater concepisce una teoria
fisiologica chiamata “l'arte della fisionomica”
attraverso la quale cerca di rivelare il carattere attraverso lo
studio delle caratteristiche del volto d’ogni individuo.
Cesare
Lombroso applica la fisiognomica allo studio della criminalità.
Il
Lombroso assume i fondamenti teorici di Giovan Battista della Porta
secondo il quale: ”chi è mostro nel corpo è
mostro anche nell’animo.”
Il Lombroso precorre Darwin
nella sua elaborazione della teoria dell'atavismo criminale
anticipando l'evoluzionismo darwiniano. Infatti, quasi nello stesso
periodo, una identica connessione tra fisiognomica e antropologia è
stabilita da Darwin il quale sostiene come alcuni tipi di
espressione, sia negli umani che nelle scimmie, sono determinati da
finalità naturali.
Nello studio che si presenta vengono
mostrate due differenti collezioni fotografiche provenienti dalla
ricerca espletata presso le carceri italiane negli anni del 1800
rispettivamente dal criminologo Cesare Lombroso (1835-1909) e da
Enrico Ferri (1856-1929). I nominati studiosi, attraverso l’uso
della fotografia, hanno prodotto per la prima volta una vera e
propria casistica legata al ritratto fotografico del volto umano,
creando, con modalità del tutto innovative per le metodologie
scientifiche dell’epoca, dei markers correlati alla fisionomia,
all’espressione ed ai lineamenti del viso dei criminali, al
fine di attuare dei validi clusters fisiognomici volti
all’identificazione dei delinquenti primari e recidivi.
Pertanto, attraverso il lavoro del Lombroso e del Ferri, la
fotografia segnaletica diventa una specie di "impronta
facciale", perfezionata poi da Bertillon (1853-1914) con
l'aggiunta dei "connotati" (misurazione di segmenti ossei
brevi: piede, mignolo, ecc.) e del "ritratto parlato" (la
descrizione degli elementi facciali descriventi la personalità)
come ad es: il naso camuso che denota empatia, all’insù
la diffidenza, aquilino portato all’ira
ecc.
CONCLUSIONI
Nonostante le esposte ricerche siano
state effettuate nel 1800, gli studi in ambito fisiognomico espletati
dal Lombroso e dal Ferri si rivelano oggi di estremo interesse.
L’attuale casellario segnaletico del CSSA (Centro Sociale per
Adulti) afferente al Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria si basa sulla rilevazione del volto del criminale
eseguito attraverso l’uso della fotografia.
Infine, in campo
antropologico, si effettuano ricerche per trovare correlazioni tra le
singole parti del volto.
Ė ormai ampiamente riconosciuto che le strategie di campionamento adottate possono influenzare in maniera non trascurabile i pattern di variazione dei marcatori del DNA. La biodemografia offre strumenti di analisi che consentono la definizione di strutture di popolazioni presenti e storiche; inoltre criteri di campionamento basati sui cognomi risultano di grande utilità per lo studio della variabilità del cromosoma Y. In questa ricerca un'analisi biodemografica preliminare consente la ricostruzione della struttura genetica paterna storica di una popolazione il cui assetto è stato profondamente cambiato dalle vicende demografiche della seconda metà del Novecento (spopolamento, migrazione verso i maggiori centri urbani).
Una serie completa di registrazioni di leva (14.128) è stata impiegata per studiare le linee cognominali fra il 1828 ed il 2005 di un'area ristretta ma non sottoposta ad isolamento: l'Alta Valle del Savio (Appennino Centro-Settentrionale).
Lo studio delle variazioni temporali nella distribuzioni dei cognomi (Fst) mostra un progressivo aumento del grado di omogeneità genetica all'interno del territorio; tale aumento è particolarmente accentuato durante il Novecento, in associazione con i cambiamenti sociali e demografici che si andavano verificando.
L'algoritmo delle Self-Organizing Maps (SOMs), una tecnica di clustering non-lineare, ha comunque consentito di definire raggruppamenti di cognomi storicamente caratterizzati da simile distribuzione geografica. Due clusters di cognomi sono stati riconosciuti associati con le aree del territorio caratterizzate da insediamenti urbani; altri due clusters, al contrario, risultano associati con aree rurali.
Sono stati quindi raccolti campioni di DNA sulla base dei quattro raggruppamenti di cognomi identificati e ne è stata studiata la variabilità del cromosoma Y per mezzo di 31 marcatori biallelici ed 11 loci microsatellite. I risultati ottenuti hanno consentito di confermare l'esistenza di una differenziazione significativa tra individui portatori di cognomi con origine rurale ed individui portatori di cognomi di origine urbana.
Ė stata in questo modo rivelata l'esistenza di una strutturazione storica della popolazione dell'Alta Val Savio, originata da una separazione di carattere culturale fra ambito urbano e ambito rurale.
La strategia di campionamento basata sui cognomi ha dunque consentito non solo l'individuazione di strutture genetiche a livelli microgeografici, ma anche la ricostruzione di pattern di variabilità del cromosoma Y altrimenti cancellati dalle recenti trasformazioni socio-demografiche.
The mating pattern in a population determines the next generation gene pool and therefore its genetic structure. In addition to socio-cultural and geographic factors, others may be responsible for encouraging or discouraging the formation of couples, such as political barriers. The present paper studies how the changes of national borders affect the mating pattern. For this purpose, the locality of Olivenza in Badajoz province (Spain), which experienced a pass of domain from Portugal to Spain in 1801, was considered. Half a century before and after that date (1750-1850) is the period analysed. 4200 Catholic marriage records were used. The whole data were sorted by decades in order to make a temporal study possible and analysed by means of isonymy and repeated pair of surnames. It was established that the process of change of the mating pattern is parallel to the modification of the national border.
La Val di Scalve (BG), popolazione che presenta
caratteristiche di forte isolamento geografico, risulta di grande
interesse non solo da un punto di vista storico-popolazionistico, ma
anche per studi di genetica medica (analisi di linkage
disequilibrium, studi di associazione, ecc.).
La presente ricerca
si propone di ricostruire la struttura della popolazione della Val di
Scalve utilizzando tecniche biodemografiche. I risultati ottenuti
serviranno per la definizione di criteri di campionamento e per lo
studio di marcatori in successive indagini molecolari.
La fonte
utilizzata è la serie di registrazioni matrimoniali delle
cinque comunità della Val di Scalve: Azzone (360 atti), Colere
(576), Oltrepovo (419), Schilpario (843), Vilminore (673), relativi
al periodo 1866-1935. L’utilizzo di dati storici è
finalizzato alla definizione della struttura della popolazione in
ancien régime.
L'analisi prevede elaborazioni a partire dai
cognomi (indici di inbreeding, coppie ripetute, matrici di kinship,
Fst) e dai luoghi di origine degli sposi (matrici di migrazione,
matrici di kinship, Fst). Le matrici di dati sono state rappresentate
per mezzo di tecniche esplorative di tipo visuale (MDS, Procrustes
errors) e di clustering basato sulla simulazione di reti neurali
(Self-Organizing Maps [SOMs]).
I risultati ottenuti consentono di
affermare che la Val di Scalve è storicamente caratterizzata
da una spiccata strutturazione di carattere geografico. Le
distribuzioni dei cognomi suggeriscono che le cinque comunità
della Valle si comportassero come sottopopolazioni isolate l’una
dall’altra. Ciò si traduce in elevati valori di Fst
(0.0120) e di inbreeding (compresi fra 0.060 di Oltrepovo e 0.017 di
Vilminore). L’analisi per mezzo di Self-Organizing Maps (SOMs)
ha inoltre rivelato cinque clusters di cognomi che corrispondono con
grande precisione ad ognuna delle cinque singole comunità,
mentre mancano quasi del tutto forme intermedie condivise da due o
più comunità. Le matrici di migrazione, mancando della
profondità temporale dei cognomi, suggeriscono il sopravvenire
di una maggiore affinità fra le cinque sottopopolazioni, in
particolare fra quelle geograficamente più vicine (Azzone e
Colere; Oltrepovo e Vilminore). Tale osservazione è confermata
dal fatto che i valori di Fst, calcolati disaggregando i dati in tre
intervalli di tempo successivi, tendono a decrescere col tempo. Gli
effetti sulla struttura biologica della popolazione sono comunque
ancora limitati, continuando gli indicatori di inbreeding (Ft, RP) a
presentare valori molto alti.
Queste informazioni risultano di
fondamentale importanza in previsione di successive fasi di
campionamento e di analisi di dati molecolari. Il campionamento dovrà
tenere conto di tutte le sottopopolazioni presenti nella Valle e,
almeno per quel che riguarda le linee paterne, sarà possibile
servirsi dei clusters di cognomi identificativi contenuti
nell’analisi SOMs. L’elaborazione dei dati molecolari
potrà tenere conto degli effetti della forte strutturazione
della popolazione, evitando di confonderli con altri fenomeni
biologici (crescita recente della popolazione, selezione naturale,
ecc.).
In questo lavoro saranno presentati i risultati preliminari di una analisi della struttura per cognomi della provincia di Reggio Calabria.
La provincia di Reggio Calabria consta di 97 comuni, per un totale di 576.693 abitanti che rappresentano il 28% dell’intera popolazione calabrese. Il suo territorio occupa l’estremità meridionale dell’Italia peninsulare, estendendosi per 3.184 Km2; l’Aspromonte è l’unico massiccio montuoso, da cui si snodano diverse dorsali che proseguono verso il confine settentrionale della provincia ed in parte verso il litorale tirrenico, dove formano ripide scarpate a picco sul mare. Il versante orientale, invece, degrada dolcemente verso la costa ed è caratterizzato dalle cosiddette fiumare, un sistema fluviale a regime prevalentemente torrentizio, con pendenza molto elevata nel tratto montano. Storicamente la provincia di Reggio Calabria è stata meta dei coloni magno-greci che fondarono le città di Reghion (730-720 a.C.), attuale Reggio Calabria, ma soprattutto quella di Locri (673 a.C.) la cui influenza si fece sentire su gran parte della provincia fino ai primi anni del III secolo a.C. Successivamente, la provincia di Reggio Calabria ha subito la presenza, soprattutto militare, di romani, bizantini, saraceni, normanni, angioini e borboni. Infine, è da menzionare la presenza della comunità “grecofona” che sembra essersi insediata tra il XII-X secolo a.C., attualmente distribuita in cinque comuni e nel cui dialetto si trovano, ancora oggi, elementi linguistici grecofoni.
La popolazione della provincia di Reggio Calabria ha vissuto ed ancora oggi vive le condizioni socio-economiche del mezzogiorno d’Italia che hanno determinato la necessità di emigrare prima nelle Americhe e poi nel nord Italia. Nel secolo scorso, eventi quali il terremoto del 1908 e l’eradicazione della malaria possono aver contribuito ad una ridistribuzione della popolazione entro la provincia.
La regione Calabria nel suo complesso e le sue province in particolare sono da tempo oggetto di ricerche in ambito antropologico, con particolare riguardo alla distribuzione di alcuni polimorfismi genetici relativi al daltonismo, alla talassemia e al deficit di G6PD. Considerando la complessità del territorio e del suo popolamento, si è ritenuto quindi utile avere anche un quadro biodemografico di riferimento, quale può essere quello desunto dall’analisi della distribuzione dei cognomi nell’area in esame.
Utilizzando i cognomi estrapolati dall’elenco telefonico dell’anno 1993, da cui sono state escluse le utenze di attività commerciali, studi professionali ed enti pubblici, ci si propone, in questa prima fase, di analizzare la variabilità dei cognomi a livello microgeografico, e di identificare, attraverso l’uso di tecniche esplorative multivariate, le principali suddivisioni interne alla provincia di Reggio Calabria.
Le comunità umane sottoposte all’influenza
dell’isolamento geografico, religioso e linguistico, sia esso
determinato da uno solo di questi elementi piuttosto che dal
risultato della loro combinazione, presentano caratteristiche che ben
si adattano allo studio della struttura genetica condotta attraverso
l’utilizzo dei cognomi. Tale metodologia d’analisi, si
basa sull’utilizzo dei cognomi considerati come alleli neutrali
appartenenti ad un locus genico ereditato esclusivamente per via
paterna.
La minoranza albanofona storica, più conosciuta
come comunità arbëreshe (da Arberia, antica
confederazione di piccoli stati che formavano l’attuale
Albania) si è insediata in Italia a seguito dell’occupazione
dei Balcani da parte dell’impero ottomano (XV secolo). Essa,
appartiene a quel gruppo di comunità di antico insediamento
come quella greca, catalana, slava, ladina e occitana che, in passato
si sono insediate in Italia perdendo ogni tipo di contatto con il
luogo d’origine.
La comunità arbëreshe che vive
in Molise (Centro Italia) è dislocata in quattro comuni
(Campomarino, Montecilfone, Portocannone, Ururi) della provincia di
Campobasso. Essa rappresenta il 9,7% del totale dei 41 comuni
albanofoni d’Italia ed il 15,4% dell’intera popolazione
arbëreshe d’Italia (94.932 abitanti).
In questo lavoro
si è voluto verificare, mediante lo studio dei matrimoni
celebrati tra il XIX ed il XX secolo, l’indice di
consanguineità (Ft, Fr, Fn), la divisione in sottopopolazioni
(RP) e l’affinità genetica (indice di Hedrick) della
minoranza arbëreshe della provincia di Campobasso rispetto alla
popolazione non-arbëreshe limitrofa.
A tale scopo, dal
Registro dello Stato Civile dei comuni interessati dal presente
lavoro sono stati raccolti 12.524 atti di matrimonio di cui 6.003
provenienti dai registri dello Stato Civile dei 4 comuni arbëreshë
e 6.521 provenienti da 4 comuni non-arbëreshë (Guglionesi,
Palata, San Giacomo degli Schiavoni, San Martino in Pensilis) della
provincia di Campobasso. Gli atti di matrimonio si riferiscono ad un
arco di tempo di 150 anni (1820-1984) suddiviso in quattro periodi di
15 anni ciascuno: 1820-1834; 1870-1884; 1920-1934; 1970-1984. I
comuni non-arbëreshë, utilizzati come confronto, sono
limitrofi a quelli arbëreshë con una distanza media di 11
Km (in linea d’aria), non ne sono separati da barriere di tipo
geografico e presentano un’altitudine media di 335 m s.l.m.
(range 169-520) rispetto a quella di 217 m s.l.m. (range 52-405) dei
comuni arbëreshë.
I risultati ottenuti non mostrano
differenze tra i comuni arbëreshë e quelli non-arbëreshë
di confronto non evidenziando alcun isolamento riproduttivo della
comunità arbëreshe rispetto a quella non-arbëreshe
limitrofa, come già riscontrato nella comunità
arbëreshe della Calabria e della Basilicata.
Ancora,
l’assenza di isolamento riproduttivo, dettato da fattori
culturali, è confermata dai risultati ottenuti dall’utilizzo
di Barrier che mostra l’assenza di barriere genetiche tra la
comunità arbëreshe e quella non-arbëreshe ed, al
tempo stesso, evidenzia la separazione geografica dei comuni costieri
da quelli dell’entroterra.
All’inizio degli anni ’90, non convinto dei
risultati delle previsioni di popolazione pubblicate dall’ISTAT,
elaborai, per l'Emilia-Romagna, uno scenario alternativo che
presentai nel 1992 a Madrid, al Congresso dell’E.A.A., e nel
1993 a Pisa, al Congresso degli Antropologi Italiani. A distanza di
quasi vent’anni, le previsioni in esso contenute appaiono
vicine alla realtà e ciò, in prima approssimazione,
rende possibile che lo restino fino al termine del periodo
considerato. Incoraggiato da tale constatazione, ho elaborato uno
scenario analogo per l’intera nazione (si tratta, è bene
precisarlo, di una simulazione, in quanto è stato elaborato
oggi e non all’epoca). Scopo del lavoro è sviluppare
alcune considerazioni sulle tendenze demografiche e valutare, a
partire da esse, l’attendibilità degli scenari in
questione.
A tal fine sono state utilizzate le previsioni ISTAT
base 1988 nonché i risultati calcolati per lo scenario
alternativo per l’Emilia-Romagna, ottenuti ipotizzando che la
capacità portante si mantenesse pressoché costante e
assumendo quindi:
- un’immigrazione definitiva di 20.000
individui l'anno;
- una sex ratio di 100/100 ed un’età
di 25 anni al momento dell’immigrazione;
- la nascita di due
figli per ogni donna immigrata.
Queste ed altre assunzioni
semplificatorie, utilizzate per tratteggiare l’evoluzione della
popolazione, sono state poi applicate anche a quella dell’intera
nazione, per la quale però l’immigrazione è stata
valutata in 100.000 individui l’anno (entità necessaria
per mantenerne costante la numerosità).
Lo scenario
alternativo, rivelatosi, a vent’anni di distanza, assai più
valido per l’Emilia-Romagna, lo è solo parzialmente con
riferimento all’intera nazione. Ma, quale probabilità
hanno queste proiezioni di descrivere gli sviluppi futuri? Per
l’Emilia-Romagna, lo scenario alternativo prevede, al 2038,
4.350.000 individui (contro i 2.169.369 dello scenario centrale ISTAT
1988, costruito senza migrazioni), un indice di dipendenza di 73
(contro 94,6) e un indice di vecchiaia di 150 (contro 703,3). Sembra
improbabile che, nel corso dei prossimi trent'anni, la popolazione
sia destinata a dimezzarsi; mentre è più difficile
esprimersi circa l'andamento futuro degli indici di struttura per
età. Anche per quanto riguarda l'Italia, i valori previsti
dallo scenario alternativo non appaiono inverosimili, permangono
tuttavia le incognite connesse all'evoluzione della fecondità
e, soprattutto, a quella della mortalità.
Prevedere il
futuro è impresa ardua e le previsioni demografiche risultano
quasi sempre errate. La verosimiglianza dei risultati ottenuti
vent'anni fa nel tratteggiare lo sviluppo demografico della
popolazione dell'Emilia-Romagna è da attribuire, in parte, a
una buona dose di fortuna. Non c'è garanzia che tali
previsioni restino valide per il futuro; e questo vale, a maggior
ragione, per quelle, analoghe, elaborate con riferimento all'intera
nazione.
Si è tuttavia dimostrata feconda la scelta di
ragionare intorno a ciò che può verificarsi nel lungo
periodo, piuttosto che concentrarsi sulle tecniche di proiezione e
procedere poi per estrapolazione sulla base degli ultimi dati
rilevati.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento,
nei paesi occidentali ha preso avvio un processo di accelerazione
dello sviluppo – con anticipo dell’età al menarca
nelle femmine - ed un aumento delle dimensioni corporee nei bambini e
negli adulti, fenomeno noto come secular trend (o, meglio, secular
changes). Esso è stato accompagnato dalla riduzione della
mortalità generale ed infantile e della fecondità
(transizione demografica); entrambi i fenomeni sono intimamente
connessi e sostanzialmente ne condividono i determinanti. Tra questi:
cambiamenti socio-sanitari e culturali, tesi a stimolare risposte
adattative di natura fenotipica; mortalità e fecondità
differenziali a favore di individui portatori di alleli particolari
che conferiscono vantaggi selettivi a genotipi specifici; la
migrazione, che consente l’apporto di nuove varietà di
alleli in popolazioni diverse, originando effetti fenotipici analoghi
a quelli provocati dell’eterosi.
Il secular change si è
realizzato con modalità e tempi differenti tra le popolazioni
ed anche a livello di strati sociali differenziati all’interno
dello stesso gruppo umano; ciò è da ascrivere al fatto
che lo sviluppo fisico è determinato dall’interazione
genotipo-ambiente ed ogni popolazione è caratterizzata da un
pool genetico specifico che interagisce in ambiti differenziati.
La
transizione verso livelli più bassi di mortalità e
fecondità, il cambiamento dei tempi di sviluppo ed il
raggiungimento di stature più elevate si è però
realizzato anche nelle popolazioni che sono state interessate dalla
sola emigrazione, per le quali la “rottura degli isolati”
è avvenuta in realtà in una sola direzione, quella
negativa.
Il lavoro si colloca nell’ambito della valutazione
della variabilità antropometrica e dei suoi ritmi di
cambiamento nel tempo. Esso si propone di delineare, attraverso le
fonti delle liste di leva militari, l’evoluzione delle
variazioni staturali e cirtometriche dei coscritti della Val Parma
nel periodo cruciale della transizione demografica (6 leve dal 1897
al 1927), analizzate in relazione alle fasce altimetriche di
provenienza, che riflettono condizioni di vita assai diversificate e
caratteristiche migratorie decisamente differenziate.
L’evoluzione
di statura e dimensioni del torace sono indicatori importanti delle
variazioni delle condizioni di salute dei maschi all’affacciarsi
all’età adulta: la “transizione epidemiologica”
consiste nel cambiamento del regime sanitario di una popolazione,
passando da un regime dominato dalla mortalità ad uno
caratterizzato dalla morbilità. Per valutare l’intensità
del fenomeno migratorio che dovrebbe aver accompagnato la dinamica
antropometrica nelle varie zone, sono state considerate le variazioni
dei cognomi dei coscritti nel trentennio osservato.
I parametri
antropometrici sono variati con pattern differenti nell’alta
valle, nella fascia collinare e nella Bassa, in relazione alle
diverse caratteristiche migratorie delle popolazioni di ciascuna
zona, come emerso dalla dinamica dei cognomi nelle stesse aree, ed
alla diversa intensità e direzione degli scambi genici tra le
aree.