Questo studio si riferisce all’analisi molecolare
di due comunità residenti nella Provincia di Esmeraldas,
nell’Ecuador Nord-Occidentale: l’una di origine africana,
l’altra costituita da Amerindi (Indios Cayapa o Chachi). Esse
sono risultate geneticamente isolate tra loro nonostante convivano
nello stesso ambiente e siano quindi sottoposte ai medesimi agenti
selettivi. Un interesse particolare rivestito da queste comunità
è quello di rispondere in modo differenziale a vari agenti
patogeni, tra cui un nematode parassita: Onchocerca volvulus.
A
questo proposito dati di ordine epidemiologica hanno evidenziato una
diversa manifestazione clinica della patologia nelle due comunità.
Fonti bibliografiche indicano l’influenza degli alleli HLA di
classe II nelle infezioni di nematodi parassiti, in particolare è
nota una correlazione tra alcune varianti alleliche di tali geni e
modificazioni cliniche della patologia provocata da O. volvulus. La
presente ricerca è quindi tesa ad evidenziare la presenza di
alleli specifici nei soggetti in esame, costituendo il primo
screening fra i soggetti sani, individui manifestanti la patologia e
soggetti ipoteticamente immuni in entrambe le comunità. A tal
fine, l’analisi della distribuzione del linkeage disequilibrium
(LD) lungo la regione HLA ha suggerito che alcuni SNPs (single
nucleotide polymorphisms) potrebbero agevolare l’analisi della
variazione dell’HLA. Alti livelli di LD fra SNPs ed alleli HLA
suggeriscono che gli SNPs possano essere informativi riguardo il tipo
HLA, quindi SNPs accuratamente scelti possono assicurare la
comprensione della variazione in diversi loci. La strategia è
perseguita per identificare varianti alleliche dei loci HLA DQA1 e
DQB1 nelle due comunità. Fase successiva della ricerca è
la tipizzazione molecolare HLA diretta, mediante tecniche SSO
(Sequence-Specific Oligonucleotide) e SSP (Sequence-Specific Primers)
degli individui che condividono uno stesso pattern polimorfico.
L’analisi degli SNPs, verificati tramite sequenziamento
diretto del DNA, non fornisce, in entrambe le comunità, un
livello di discriminazione sufficiente tra individui malati e non
malati. Viceversa, tramite la tipizzazione diretta degli alleli HLA
si evince una discreta eterogeneità allelica tra le due
comunità, probabile testimonianza della diversa origine e
storia evolutiva e possibile responsabile della risposta
differenziale. Nello specifico, all’interno della comunità
indiana americana l’allele DQA1*0401 sembra essere presente
maggiormente in individui ipoteticamente immuni; mentre nella
comunità di origine africana, oltre il DQA1*0401, gli alleli
maggiormente rappresentati in individui ipoteticamente immuni
risultano essere il DQB1*0301 ed il DQA1*0505 o il DQA1*0509, non
univocamente determinabili mediante la metodica utilizzata. Nessun
allele risulta, invece, strettamente correlato alla patologia in
entrambe le comunità. Tali risultati, seppur parziali,
indicano che le varianti alleliche dei geni HLA DQA influenzano il
corso dell’infezione da O. volvulus, ed aiutano nel definire
uno stato che potrebbe riflettere una immunità genetica nelle
comunità in esame.
The present population of Madagascar
is subdivided into 18 well-defined ethnic groups showing, for
morphological and cultural features, different degrees of admixture
with Bantu- and Austronesian-speaking populations. A recent genetic
study of 4 inland groups (Hurles et al., 2005) demonstrated that
African and Indonesian contributions were approximately equal at
Y-binary markers and that the Indonesian one is predominant (62%) at
mtDNA data.
To more thoroughly investigate the admixture
proportions and genetic history of Malagasy people we analysed
paternally and maternally inherited lineages of three populations
from South-Eastern coasts (Antandroy, Antanosy, Antesaka) and one
inland group (Merina) at a more detailed level of phylogenetic
resolution. A set of 17 Y-STR loci and 20 Y-binary markers were typed
in 110 unrelated males; the HVSI and 17 SNPs from the mtDNA coding
region were genotyped in the total sample (N=133).
The proportion
of African and Indonesian components from mitochondrial markers was
barely the same as in Hurles et al.’s populations (~60%
Indonesia and ~40% Africa). However, the hypothesis that migrations
from Africa may have been more limited than those from Indonesia does
not hold true for coastal groups, as gene diversity was much higher
for African-derived maternal lineages.
Y chromosome data gave
significantly different component proportions for coastal and inland
groups. The majority of coastal paternal lineages were
African-derived (Antandroy 86%, Antanosy 64%, Antesaka 62%) and the
influence of recent colonizations was not negligible (around 9% of
European lineages in Antanosy, 3%).
As a whole, the results point
to a common Indonesian genetic matrix as a consequence of a single
migration event and to a sex-biased contribution from Africa.
Hurles
ME, Sykes BC, Jobling MA, Forster P 2005. The dual origin of the
Malagasy in Island Southeast Asia and East Africa: evidence from
maternal and paternal lineages. Am J Hum
Genet 76:894-901.
In questo studio sono stati analizzati 18 marcatori
eritrocitari e plasmatici a partire da diverse centinaia di individui
provenienti da differenti micro-regioni della Sardegna (Gallura,
Nuorese, campidano di Cagliari) e della Corsica (Nord est, centro,
Nord ovest, Sud ovest e estremo Sud).
Le analisi mostrano una
debole influenza delle popolazioni continentali sulla struttura
genetica delle due popolazioni insulari e una similitudine genetica
delle popolazioni corse e sarde. Queste similitudini si rispecchiano
nella distribuzione delle mutazioni responsabili delle
beta-talassemie.
La stessa mutazione (beta-39) è in
prevalenza associata a questa patologia nelle due isole. L’analisi
degli aplotipi della zona della famiglia delle beta-globine, ha
rivelato una origine comune di questa mutazione, che riflette una
possibile origine comune.
L’analisi del DNA mitocondriale
mostra le stesse similitudini genetiche. Questo studio ha inoltre
apportato qualche precisione sulla storia demografica delle
popolazioni insulari e sul tempo di espansione del loro
popolamento.
Questa ricerca è stata realizzata grazie
ai fondi della comunità europea (Programmes INTERREG).
La capacità di digerire il lattosio in età
adulta è una condizione ereditaria causata dalla persistenza
dell’enzima Lattasi Florizin Idrolasi dopo lo svezzamento.
Numerosi studi hanno dimostrato come la distribuzione della
tolleranza al lattosio sia estremamente varia tra le popolazioni
umane. Tale variabilità è stata oggetto di diverse
ipotesi sulla sua evoluzione e sul ruolo che la selezione naturale ha
avuto nel generare la situazione osservata attualmente.
L’identificazione della mutazione T-13910 associata alla
tolleranza al lattosio, nelle popolazioni nord-europee, ha aperto
nuove frontiere nello studio dell’evoluzione di tale condizione
fisiologica.
Nel presente lavoro è stata studiata la
variabilità microsatellite associata alla mutazione T-13910 in
Italia e Grecia allo scopo di inferire due parametri chiave
dell’evoluzione della tolleranza al lattosio: l’azione
della selezione naturale e l’età della mutazione.
Sono
stati utilizzati un totale di 749 campioni provenienti dall’Italia
e 100 campioni di provenienza greca. All’estrazione del DNA ha
fatto seguito l’amplificazione mediante PCR e il taglio
enzimatico per la discriminazione degli alleli C e T al locus
C/T-13910. Gli alleli STR ai loci D2S3013, D2S3015 e D2S3010 sono
stati tipizzati tramite sequenziatore semiautomatico (ALF). Le fasi
gametiche sono state inferite con il software Phase 2.1. L’età
del MRCA è stata calcolata utilizzando il metodo proposto da
Coelho et al (2005), per valutare l’azione della selezione
naturale è stato utilizzato il metodo proposto da Slatkin e
Bertorelle (2001).
I dati relativi della tolleranza al lattosio
predetta dalla mutazione T-13910, confermerebbero il dato osservato,
tramite test fisiologici, dell’andamento clinale della
tolleranza al lattosio in Europa. L’associazione di una
ristretto numero di alleli STR, simili in tutte le popolazioni
esaminate, con la mutazione T-13910, e la presenza del medesimo
aplotipo composito modale in tutte le popolazioni, suggeriscono
un’origine unica di tale mutazione.
La bassa variabilità
osservata nei loci STR associati alla veriante T-13910 suggerisce
un’origine recente di tale mutazione. Il test di neutralità
selettiva mostra la presenza di effetti selettivi principalmente in
Italia.
Presi nel loro insieme, questi risultati suggeriscono che
la tolleranza al lattosio, associata alla mutazione T-13910, sia un
tratto sorto in tempi relativamente recenti (circa 30.000 –
10.000 anni fa) e avvalorano l’ipotesi che l’attuale
distribuzione di questo genotipo risulti, almeno in parte, dal
vantaggio selettivo da esso conferito in termini di migliore
utilizzazione delle proprietà nutrizionali del latte.
Anthropogenetic researches in Bosnia and
Herzegovina started in middle of 19th century by Austro-Hungarian
physicians who have done their researches during recruitment of
Bosnian young people for Imperial army services. Main goal of these
researches were to estimate differences between three ethnic (in that
time described as only religious) groups in Bosnia and Herzegovina:
Orthodox Christians, Catholic Christians and Muslims. Colors of eyes
and hair together with various morphological traits have been used as
the marker. During the 20th century the most researches were done on
local human populations, which have geographic specificity with
expressed of patrilocality. Several biochemical-physiological (ABO
system, PTC tasting sensitivity, secretor/nonsecretor, green ad red
color visions etc.) and various morphological traits have been
observed.
At the end of 20th and beginning of 21st century
during researches of human populations in Bosnia and Herzegovina DNA
markers have been introduced (autosomal STR, mtDNA HVS-I and HVS-II,
Y-chromosomal markers). Beside observations of isolated local human
population, the genetic structure of three main ethnic (national)
groups in Bosnia and Herzegovina have been investigated. According
the B&H Constitution in Bosnia and Herzegovina exist three main
ethnic (national) community with the same rights and obligations.
These groups speak three languages: Bosnian, Croatian and
Serbian.
We analyzed possible correlation between Reynold’s
genetic distance, geographical and linguistic distance among three
main ethnic (national) community observing expressed patrilocality
populations spread in 10 different regions. Since three B&H
languages belong to the same language group, linguistic
“micro”-distance was estimated as proportion of different
words (some languages have more influences by foreign languages
during B&H history.
Ordinary approaches for geographic
distance estimation were not applied. It has been proved that
“shortest road distance” is more appropriate for
estimating geographical distance for this research, since the having
the road from the isolated places mean possible migration. For
estimation of correlations between distances Mantel test and
coefficient of distance have been implemented. Estimation were done
based on data obtained from applications of various markers. The
results imply that there is no significant correlation between
genetic and linguistic distance among three main ethnic (national)
B&H groups. Although, it is noticed that generally small figures
of genetic distance (based on variation of STR and
biochemical-physiological and morphological traits) among populations
and groups estimation “follow” small linguistic
difference.
The both implemented measures show no significant
correlation between genetic and geographic distance among populations
in different area in Bosnia and Herzegovina.
Human Y chromosomes belonging to
haplogroup J1 (International Society of Genetic Genealogy 2007) share
a derived state (G) at the M267 mutation site. It has been argued
(Semino et al., 2004) that this mutation originated some 24,000 years
ago in the Near East or North-East Africa and spread in the
Mediterranean by means of at least two temporally distinct
migrations: the first would have occurred towards Aegean and Italian
coasts in Neolithic times; a more recent one (estimated time bounds
8.7–4.3 Ky) would have diffuse M267-G in Northern Africa.
According to other authors (Nebel et al., 2001; Al-Zahery et al.,
2003; Di Giacomo et al., 2004), however, M267-G would have arisen as
early as 10,000 years ago and would mark the historical expansion of
Arabian tribes in the northern Levant and southern Africa.
We
investigated the variability of M267-G chromosomes from 23 different
Mediterranean populations (original and published data) at a total of
20 Y STR loci. Three different sets of markers were considered: the
“Y-filer” set (DYS456, DYS389I, DYS390, DYS389II, DYS458,
DYS19, DYS385a, DYS385b, DYS393, DYS391, DYS439, DYS635, YGATA-H4,
DYS437, DYS392, DYS438, DYS448) allowed to more accurately
reconstruct time and space of the main dispersal events associated
with this mutation; the “MH” (DYS19, DYS388, DYS390,
DYS391, DYS392, DYS393) and the “DL3” (DYS388, YCAIIa,
YCAIIb) sets allowed the origin and diffusion of local modal
haplotypes to be better defined.
The results depict a more complex
and deeper stratification of haplotype-clades than thought before. In
fact, we could observe both, geographically structured and even
lineages, that could be associated to pre-agricultural, Neolithic and
historical demographic events.
Al-Zahery N, Semino O,
Benuzzi G et al. 2003. Y-chromosome and mtDNA
polymorphisms in Iraq, a crossroad of the early human dispersal and
of post-Neolithic migrations. Mol Phylogenet Evol 28:458-472.
Di
Giacomo F, Luca F, Popa LO et al. 2004 Y chromosomal haplogroup J as
a signature of the post-neolithic colonization of Europe. Hum Genet
115:357–371.
International Society Of Genetic Genealogy
2007. Y-DNA Haplogroup Tree 2006. Version:
1.24, Date: 7 June 2007, http://www.isogg.org/tree/Main06.html.
Nebel
A, Landau-Tasseron E et al. 2002. Genetic
evidence for the expansion of Arabian tribes into the Southern Levant
and North Africa. Am J Hum Genet
70:1594–1596.
Semino O, Magri C, Benuzzi G et al.
2004. Origin, diffusion, and differentiation of
Y-chromosome haplogroups E and J: inferences on the Neolithization of
Europe and later migratory events in the Mediterranean area. Am
J Hum Genet 74:1023–1034.
L'aplogruppo B
rappresenta uno dei rami più antichi dell'albero filogenetico
del cromosoma Y. La sua distribuzione, limitata all'Africa
sub-sahariana, è particolarmente interessante per la presenza,
non solo in popolazioni di agricoltori e pastori, ma anche in tutte
le popolazioni di cacciatori-raccoglitori analizzate finora: i Kung
del Sud Africa, i Pigmei Mbuti della Repubblica Democratica del Congo
ed i Pigmei Biaka della Repubblica Centrafricana. Questo aplogruppo
sembra quindi essere un carattere plesiomorfo delle popolazioni
dell'Africa sub-sahariana.
Lo scopo del presente lavoro è
studiare in dettaglio la distribuzione dell'aplogruppo B in
popolazioni dell'Africa Centrale, attraverso l'analisi di 7 distinte
popolazioni di Pigmei Occidentali (2 Baka e 2 Bakola del Camerun,
Babinga della Repubblica Popolare del Congo, Baka del Gabon e
Mbenzele della Repubblica Centrafricana), e di 20 gruppi di lingua
Bantu. L'analisi di tale aplogruppo in queste popolazioni offre la
possibilità di raccogliere informazioni importanti per la
ricostruzione del popolamento antico di questa area, tuttora poco
studiato a causa dell'assenza di resti fossili e della difficile
datazione dei resti archeologici.
Lo screening di queste
popolazioni per il polimorfismo M60 (che definisce l'aplogruppo B) ha
portato alla selezione di 153 individui appartenenti a questo
aplogruppo, successivamente tipizzati per 12 polimorfismi STR (DYS19,
DYS385a, DYS385b, DYS389I, DYS389II, DYS390, DYS391, DYS392, DYS393,
DYS437, DYS438, DYS439). I dati raccolti sono stati analizzati
attraverso un median-joining network utilizzando gli aplotipi STR ed
applicando un approccio filogeografico. Abbiamo infine confrontato i
dati ottenuti per il cromosoma Y con quelli dell'aplogruppo L1c del
DNA mitocondriale, mettendo in evidenza alcune analogie nella
distribuzione dei due aplogruppi. In tal modo abbiamo potuto
analizzare le relazioni evolutive esistenti tra i vari gruppi pigmei
e le popolazioni di lingua Bantu considerando lineages a trasmissione
sia maschile che femminile.
L’utilizzo dei marcatori del cromosoma Y per
studi di genetica di popolazione umana e analisi forensi è
ormai di uso frequente. Gli aplotipi costruiti con i marcatori dell’Y
possono essere usati per studi di linee paterne, per differenziare
gruppi di popolazioni umane, e per analisi forensi.
In questo
lavoro abbiamo analizzato un totale di 100 soggetti maschi, sani,
autoctoni del Nord-Sardegna, non imparentati fra loro attraverso il
kit di amplificazione AmpFISTRs Yfiler.
Questo sistema amplifica
simultaneamente 17 loci Y-STR, che includono l’European minimal
haplotype, e i loci STR raccomandati dallo Scientific Working Group
on DNA Analysis Methods (SWGDAM), oltre ai loci DYS437, DYS448,
DYS456, DYS458, Y GATA H4, e DYS635.
Il DNA è stato
estratto da sangue seguendo il metodo di Gill et al. (1985).
L’amplificazione del DNA è stata eseguita con il
AmpFlSTR Yfiler PCR amplification kit in un Geneamp®PCR System
9700, usando i criteri suggeriti dalla casa produttrice. La
separazione e identificazione del prodotto di PCR degli Y-STR 17plex
è stata effettuata tramite ABI Prism 3100 Avant Genetic
Analyzer. Per l’attribuzione degli alleli specifici per ciascun
locus sono stati usati dei ladder allelici forniti con il kit
(AmpFlSTRYfiler allelic ladder).
L’analisi dei singoli
campioni analizzati in questo lavoro ha messo in evidenze alcune
particolarità della popolazione del Nord Sardegna. Sono stati
osservati alcuni alleli che non sono inclusi nel ladder allelico
fornito nel kit di amplificazione dell’AmpFℓSTR®
Yfiler™ per esempio l’allele DYS458*11 che si presenta
con una frequenza di 0,01. Il locus DYS458 mostra un allele
(DYS458*17.2) in una forma non-consensus con una frequenza anche esso
di 0,01. Un altro allele non-consensus (11.2) si è presentato
all’analisi del locus DYS438. Un lavoro su una popolazione del
Portogallo (Alves et al., 2007) ha mostrato una interessante
associazione tra il locus DYS458 e il paragruppo J*(xJ1,2), infatti
tutti gli individui caratterizzati da alleli non-consensus per il
DYS458 all’analisi con polimorfismi Y-SNP sono risultati
appartenenti al paragruppo J*(xJ1,2). Questo potrebbe indicare che il
DYS458 potrebbe essere usato per discriminare un aplogruppo
all’interno di un paragruppo.
La maggior parte degli Y-STR
utilizzati per l’analisi forense (DYS19, DYS389 I and II,
DYS390, DYS391, DYS392, DYS393 and DYS385) hanno riportato doppi
alleli per un singolo locus a causa di eventi di duplicazioni seguiti
da mutazione. La presenza di doppi alleli potrebbe significare la
presenza di più profili maschili in uno stesso campione, ed è
per questo motivo che è importante conoscere l’incidenza
di duplicazioni-mutazioni per un locus all’interno di una
popolazione. Nel nostro campione del Nord Sardegna abbiamo trovato
una duplicazione al locus DYS19 con gli alleli 15/16 su un individuo.
L’individuazione di particolari forme alleliche è di
grande interesse sia da un punto di vista di genetica di popolazione,
perché tipica di determinate popolazioni sia per le indagine
forensi perché di grande aiuto nella caratterizzazione dei
campioni esaminati.
Questo studio si propone di esaminare la variabilità
del patrimonio genetico di un piccolo gruppo della popolazione Dawro
nella valle dell’Omo in Etiopia. L’etnia Dawro fa parte
del ceppo omotico, appartenente alla famiglia linguistica
Afro-Asiatica. Diversamente da Amhara ed Oromo, popolazioni di questo
ceppo linguistico non sono mai state studiate dal punto di vista
genetico-molecolare; inoltre per secoli questa zona è rimasta
pressoché inaccessibile.
La lingua omotica è
considerata la ramificazione più divergente
dell’Afro-Asiatico; scopo di questa ricerca è verificare
inoltre se la divergenza linguistica trova riscontro nelle
caratteristiche genetiche della popolazione Dawro.
Il
campionamento è stato eseguito presso la missione dei Frati
Cappuccini dell’Emilia-Romagna del villaggio di Gassa Chare
(2500 m s.l.m.), regione Dawro, Etiopia. Mediante un prelievo di
cellule di mucosa buccale sono stati analizzati 39 soggetti sani, di
età, sesso e clan assortiti, tutti di etnia Dawro,
appartenenti allo stesso villaggio. Tutti i soggetti, mediante la
compilazione di una scheda che raccoglie dati biodemografici, hanno
dato il consenso di partecipazione alla ricerca. Le prime analisi
hanno riguardato oltre l’estrazione del DNA mediante protocolli
standard, l’amplificazione della regione HVSI del genoma
mitocondriale (15996-16401). Il sequenziamento è stato
effettuato mediante sequenziatore ABI PRISM 3730 (Applied
Biosystem).
Inoltre sono stati testati tre siti di restrizione (+
3592HpaI, + 10871MnlI, +10397AluI) per identificare rispettivamente i
clusters L1/L2, N ed M.
Le analisi di restrizione condotte su
tutti i 39 soggetti campionati hanno evidenziato le seguenti
frequenze per cluster: L1/L2 (28%), N (10%), L3 (49%), M (13%). I
risultati preliminari riguardo la sequenza della regione di controllo
evidenziano la presenza dei seguenti aplogruppi: L0 (subclade L0a2),
L2 (L2a1c), L3 (L3x, L3x2), L5 (L5a1, L5a2) e K.
Le regioni
dell'Africa orientale sono caratterizzate, dal punto di vista
genetico, in modo ancora incompleto. La ricostruzione della storia
delle popolazioni etiopi è complicata dal fatto che
probabilmente hanno ricevuto in passato un flusso genico proveniente
da altre popolazioni già ibride.
La metà degli
Etiopi finora studiati ha linee mitocondriali che appartengono a
cladi specifici dell'Africa sub-sahariana, mentre l'altra metà
si divide tra subcladi derivati dagli aplogruppi M e N che sono molto
comuni fuori dall'Africa. In particolare, da studi effettuati da
Kivisild et al., (2004) in Etiopia, risulta che le frequenze relative
ai raggruppamenti L1/L2, N, L3 e M sono rispettivamente 28,8%, 30,8%,
23,4% e 17%.
Dal confronto del tutto preliminare tra questi dati e
i risultati ottenuti dalla presente ricerca, si nota nella
popolazione del Dawro Konta un contributo degli aplogruppi N ed M
minore rispetto alla media etiopica e una maggiore frequenza del
clade L3, che fa pensare ad un minor flusso genico da parte di gruppi
di origine euroasiatica.
Il Kurdistan occupa una vasta area tra la Mesopotamia,
l’Anatolia e l’altopiano iranico. Questa regione non ha
mai avuto un’unità politica e nel 1923 è stata
annessa a quattro stati (Iraq, Iran, Turchia e Siria), pur ospitando
una popolazione, numericamente rilevante, caratterizzata da una forte
unità culturale e linguistica. L’origine di questa
popolazione di lingua indoeuropea non è stata ancora chiarita
e la popolazione curda non è mai stata studiata in modo
dettagliato dal punto di vista genetico. L’analisi della
variabilità di marcatori molecolari a trasmissione
uniparentale, come il cromosoma Y (NRY) ed il DNA mitocondriale
(mtDNA), e di sistemi autosomici, come i marcatori Alu, può
essere considerata uno strumento utile per rilevare i fenomeni
microevolutivi che hanno caratterizzato la storia genetica delle
popolazioni e che in relazione con i dati storici, linguistici ed
etnologici possono aiutare a comprenderne l’origine e la
storia.
L’obiettivo di questa ricerca è: 1) ottenere
un quadro completo della variabilità genetica presente in un
campione di individui curdi; 2) valutare le relazioni filogenetiche
con le altre popolazioni mediorientali; 3) chiarire se la forte
connotazione etnica dei Curdi si riflette anche nella condivisione di
un pool genetico omogeneo.
Il campione di popolazione
studiato è costituito da 71 individui: 49 di etnia curda,
provenienti prevalentemente dal Kurdistan iracheno, e 22 di etnia
persiana, provenienti dall’Iran sud occidentale. L’analisi
è stata condotta utilizzando 8 polimorfismi di inserzione Alu
autosomici, l’analisi di sequenza dell’HVSI e 13 RFLPs
della regione codificante del mtDNA e 44 marcatori (33 SNPs e 11
STRs) sulla regione non ricombinante del cromosoma Y (NRY).
Avvalendoci dei dati sul campione persiano da noi analizzato e di
quelli presenti in letteratura e utilizzando un approccio di tipo
filogenetico e filogeografico, è stato possibile inserire la
variabilità osservata nel contesto eurasiatico e
mediorientale.
Il campione di individui curdi studiato,
considerato in un contesto macrogeografico, si colloca nell’ambito
della variabilità eurasiatica occidentale e, in un ambito
geografico più ristretto, rientra nei pattern di variabilità
dell’Asia occidentale e mediorientale.
Nell’indagine a
livello microgeografico il DNA mitocondriale ed il cromosoma Y hanno
mostrato un potere informativo più elevato rispetto a quello
dei polimorfismi Alu, in particolare quando si utilizzano i dati
sulla distribuzione degli aplogruppi.
La presenza, nel campione
curdo analizzato, dei principali aplogruppi mitocondriali e del
cromosoma Y diffusi in Medio Oriente ed pattern di variabilità
osservati, sottolineano l’affinità con le popolazioni
geograficamente vicine e suggeriscono la condivisione dei principali
eventi di popolamento della regione. Le analisi condotte, ed in
particolare il confronto con altri gruppi curdi provenienti da altre
regioni geografiche, sottolineano tuttavia la complessità dei
processi microevolutivi che hanno coinvolto i Curdi e le altre
popolazioni mediorientali.
Attualmente è
possibile analizzare la variabilità dell’intero genoma
in termini di single nucleotide polymorphisms (SNPs) su singoli
arrays, riducendo notevolmente costi e tempi di analisi. Queste nuove
applicazioni forniranno un importante contributo nel delineare le
basi molecolari delle malattie complesse. Nelle popolazioni
geneticamente isolate i segnali di linkage disequilibrium (LD) sono
più ampi, e i livelli di eterozigosità sono più
contenuti, rendendole particolarmente adatte a questo genere di
analisi.
Nel presente studio abbiamo voluto verificare se due
popolazioni basche, generalmente considerate isolate nel contesto
europeo sulla base di analisi condotte su diversi marcatori genetici,
confermavano tale isolamento anche analizzando un’ampia regione
(1-Mb) priva di geni sul cromosoma 22. A tale scopo sono stati
tipizzati numerosi SNPs (single nucleotide polymorphisms), non solo
nelle due popolazioni basche provenienti da Spagna e Francia, ma
anche in altri gruppi di popolazione spagnola e tre campioni
nord-africani, per verificare il contributo di quest’ultime nel
determinare le caratteristiche del pool genico delle attuali
popolazioni spagnole.
A tele scopo sono stati tipizzati 541
individui appartenenti alle 8 popolazioni. Sulla base della distanza
fisica sono stati selezionati 211 SNPs in modo da ottenere una
griglia di marcatori quanto più possibile omogenea. La
genotipizzazione è stata realizzata su piattaforma Sequenom.
Nell’analisi finale sono stati considerati 123 SNPs con una
media di 1 SNP ogni 8030 bp. I dati ottenuti sono stati analizzati
mediante i software Arlequin, Statistica, Haploview e Structure.
I
valori di eterozigosità osservati hanno mostrato un range di
variabilità ristretto tra tutte le popolazioni considerate.
Come era da attendersi, le popolazioni africane riportano i valori
più elevati, ma se si considerano gli errori standard gli
indici di eterozigosità si sovrappongono ampiamente fra tutte
le popolazioni. Le due popolazioni basche presentano i valori
maggiori all’interno della penisola iberica.
L’analisi
AMOVA condotta considerando diversi tipi di raggruppamento ha sempre
evidenziato valori di Fst e di Fct bassi e non significativi
all’interno dei raggruppamenti continentali. La matrice di
distanza rappresentata mediante scaling multidimensionale non metrico
evidenzia infatti soltanto differenze tra i due gruppi principali (3
popolazioni africane e 5 iberiche).
L’analisi delle
dimensioni dei blocchi di linkage conferma l’omogeneità
emersa anche dalle altre analisi, con valori più elevati per
la popolazione catalana, mentre le popolazioni basche non presentano
i valori attesi di LD più ampi rispetto alle altre
popolazioni. Soltanto 14 dei 123 SNPs riportano valori di Fst >
0.05 e con tali marcatori è possibile distinguere una
differenziazione tra Iberici e nord Africani, mentre i rimanenti loci
non sono in grado di evidenziare una sub struttura genetica.
In
conclusione, le popolazioni basche non presentano le caratteristiche
tipiche delle popolazioni isolate tali da renderle preferibili per
studi di associazione.
Il DNA mitocondriale umano presenta diverse
caratteristiche (elevato numero di copie, eredità materna,
assenza di ricombinazione e alto tasso di mutazione) che lo rendono
un marcatore particolarmente utile ai fini dello studio dell'origine
e dei patterns di espansione delle popolazioni umane. La presente
ricerca riguarda l’analisi della variabilità
mitocondriale in sei gruppi etnici del Kenya. La regione, situata
nella parte nord-orientale dell’Africa, ha probabilmente
giocato un ruolo molto importante nell’origine dell’uomo
moderno. I dati paleoantropologici e archeologici indicano infatti
l’Africa orientale come il probabile luogo d’origine dal
quale l’uomo moderno avrebbe iniziato il suo viaggio di
colonizzazione dei diversi continenti. In tempi più recenti,
negli ultimi 5000 anni, il Kenya è stato interessato da
diversi movimenti migratori di popolazioni provenienti dalle regioni
dell’Africa occidentale e settentrionale. Attualmente il
territorio è popolato da più di 30 etnie che parlano
lingue appartenenti alle tre famiglie linguistiche
Niger-Kordofoniana, Afro-Asiatica e Nilo-Sahariana.
Lo scopo
principale di questo lavoro è analizzare, utilizzando un
approccio filogeografico, la diversità genetica presente in
sei popolazioni del Kenya per verificare la presenza di antiche linee
mitocondriale africane e valutare l’eventuale ruolo di questa
regione nella etno-genesi delle attuali popolazioni africane.
Il campione esaminato è costituito da 286 donatori maschi non
imparentati per via materna. Sono state analizzate le regioni
ipervariabili I e II (HVSI/HVSII) del DNA mitocondriale e i siti RFLP
sulla regione codificante che permettono di individuare gli
aplogruppi mitocondriali africani ed eurasiatici. Gli aplotipi
mitocondriali osservati in Kenya sono stati quindi confrontati con
quelli presenti in un database di circa 100 popolazioni africane e
mediorientali allo scopo di valutare le relazioni filogenetiche dei
gruppi etnici del Kenya con le altre popolazioni dell’Africa
sub-sahariana e in particolare con quelle dell’Africa orientale
e della vicina regione mediorientale.
I risultati ottenuti
evidenziano la presenza nei sei gruppi etnici kenioti di aplogruppi
mitocondriali di origine sia africana che eurasiatica. È stata
rilevata una sostanziale omogeneità genetica delle popolazioni
analizzate, con l’eccezione del gruppo etnico di pescatori
ElMolo che risultano caratterizzati da un forte effetto fondatore e
probabile isolamento genetico. L’omogeneità genetica
delle altre popolazioni prese in esame è probabilmente da
imputare alla presenza di un continuo flusso genico tra le diverse
etnie che ha portato ad una somiglianza maggiore di quella
ipotizzabile sulla base degli eventi storici e dei conflitti etnici
che hanno interessato e continuano ad interessare questa regione.
Inoltre, l’analisi filogeografica ha permesso di evidenziare
l’esistenza di flusso genico con altre popolazioni dell’Africa
orientale, in particolare Etiopi e Bantu.
Lo sviluppo di sempre più sofisticati protocolli
di estrazione, amplificazione e sequenziamento di DNA da reperti
molto antichi ha incoraggiato l’intervento della genetica nella
questione della domesticazione, di specie animali e vegetali. Negli
ultimi anni l’attenzione si è focalizzata, in particolar
modo, sull’origine e sull’evoluzione di un processo molto
complesso, la domesticazione dei bovini europei. Evidenze
archeologiche collocano, intorno ai 10000 anni fa, nell’area
identificabile con la Mezza Luna Fertile, il centro di espansione
della varietà domestica, oggi diffusa in tutta Europa, Bos
taurus . In accordo con il dato archeologico, l’analisi
molecolare di specifici marcatori genetici (mtDNA, chrY) ha mostrato
una variazione della popolazione bovina europea più bassa di
quella dei gruppi del Medio Oriente, supportando così
l’ipotesi che essa sia derivata dall’espansione neolitica
della pastorizia verso Ovest attraverso l’Europa.
Per
comprendere meglio le traiettorie di tale processo è stato di
fondamentale importanza chiarire la relazione filogenetica esistente
tra la forma selvatica, Bos primigenius, e quella attuale.
L’analisi
del DNA antico, estratto da bovini inglesi e continentali, ha
permesso di stabilire che gli Uri selvatici non sembrano essere i
fondatori dei bovini addomesticati che abbiamo oggi.
Alla luce di
queste scoperte, l’obbiettivo del nostro lavoro è stato
quello di riscontrare, immaginando la possibilità nel passato
di incroci spontanei o ad opera dell’uomo, un contributo
ancestrale nel pool mitocondriale delle varietà italiane
moderne. I dati forniti dalle nostre indagini sperimentali si sono
rivelate inaspettatamente in controtendenza al modello continentale
osservato, dove esiste una differenza marcata tra la specie
primigenia e le razze attuali. In Italia infatti campioni molto
antichi presentano le stesse identiche sequenze che oggi ritroviamo
sia tra le razze italiane sia tra quelle europee. Con questi
risultati è lecito ipotizzare che forse la domesticazione non
sia avvenuta in un solo momento e in un solo luogo come sostenuto
sino ad oggi. Oppure come nel caso di altre faune italiane, è
possibile che ci sia stato un effetto di isolamento dovuto alla
presenza di barriere geografiche (Alpi), che hanno determinato la
riduzione della variabilità genetica nei Bos primigenius
italiani, come quella prodotta più tardi, in età
neolitica, dalla selezione imposta dai primi allevatori.
L’intolleranza al glutine può a buon
titolo includersi tra le patologie da transizione ecologica che
interessano l’uomo moderno. La base genetica di questo stato
morboso è stata da lungo tempo messa in relazione ad alcuni
aplotipi del sistema HLA. Questo ha portato in tempi recenti alla
presunta identificazione di alcuni aplotipi “predisponenti”
in diverse aree geografiche ed in diverse popolazioni: l’aplotipo
identificato nei caucasici celiaci del nord europa è A1 B8 DR3
DQ2, quello del sud europa A1B8DR3 DQ2/DR7 DQ2 o DR5 DQ7/DR7 DQ2;
abbiamo un aplotipo “sardo” A30 B18 DR3 DQ2, Punjabi A26
B8 DR3 DQ2 e Ax B21 DR3 DQ2, e “anatolico” A2 B8 DR3 DQ2.
Questa oggi suona come una banalizzazione, data la palese
eziologia multifattoriale e l’esistenza di diversi geni
candidati che concorrono a questo stato morboso (CD14, CTLA4, MIC,
IL2, IL21).
Comunque, il ruolo degli aplotipi di seconda classe
DRx -DQ2 e/o DQ8 nella presentazione dell’antigene Gliadina +
Transglutaminasi, quantomeno quindi in una fase dell’intolleranza
e della sua evoluzione clinica, è indubbio.
Sono stati
esaminati dati relativi a 225 gruppi etnici o popolazioni
geograficamente localizzabili (2000 voci bibliografiche dal 1973 al
2006 - nonché il DBase http://www.allelefrequencies.net). Di
120 di queste popolazioni, comparabili per tipizzazione, è
stato preparato un report correlato da mappe di distribuzione
(Microsoft Mappoint 2006). Per motivi di standardizzazione e di
analisi i dati sono stati preventivamente suddivisi in tre gruppi a
seconda della tipizzazione.
I gruppo
DRB1*03-DQA1*05 –
DQB1*02
DRB1*04-DQA1*03 – DQB1*0302
DRB1*07-DQA1*0201 –
DQB1*02
II
gruppo
DQA1*05-DQB1*02
DQA1*03-DQB1*0302
DQA1*0201-DQB1*02
III
gruppo
DRB1*03-DQB1*02
DRB1*04-DQB1*0302
DRB1*07-DQB1*02
Questo
contributo presenta sinteticamente i dati relativi all’HLA di
II classe, DR e DQ e le frequenze aplotipiche:
• nelle
popolazioni genericamente “senza celiachia”, non esposte
al glutine;
• nelle popolazioni “senza celiachia”,
esposte al glutine;
• nelle popolazioni con celiachia a vario
grado e presumibilmente predisposte.
Secondo questa indagine, in
relazione al presunto ruolo dei suddetti assetti aplotipici DR/DQ,
con l’eccezione di “casi unici”, tutte le
popolazioni umane sono geneticamente predisposte al morbo celiaco,
diretta conseguenza questa della recente evoluzione verso strategie
di approvvigionamento diverse dalla caccia e raccolta di frutti
spontanei. L’attuale incidenza “nel mondo” è
stimata in circa 1/100. Un dato sorprendente: potremmo ipotizzare un
eventuale fenomeno di “pandemia cronica” della malattia
in seguito alla crescente occidentalizzazione dei modelli alimentari
(imposti dal mercato o dalle necessità) e all’uso
generalizzato di alimenti contenenti glutine da parte di popolazioni
di norma caratterizzate da ecologie diverse.
Nel corso degli ultimi anni, studi di paleogenetica su popolazioni dell’Italia antica hanno cercato di ricostruire l’eredità genetica della nostra penisola. Attraverso l’analisi parziale della prima regione di controllo del DNA mitocondriale (HVRI nt 16083-nt16281) recuperato da individui vissuti nel territorio veneto tra l’VIII ed il II secolo a.C. e provenienti da 5 siti archeologici dislocati all’interno della Provincia di Padova, abbiamo cercato di ampliare questo scenario. Nonostante i buoni valori del grado di racemizzazione solo da 17 dei 41 reperti analizzati siamo riusciti ad ottenere una sequenza analizzabile. Al fine di verificare la continuità genetica tra le popolazioni dell’antico veneto e quelle attuali, si è utilizzato un nuovo programma di simulazione seriale, Serial SimCoal (Anderson 2006). In questo modo, tramite simulazioni di coalescenza di modelli genealogici che incorporano le sequenze antiche e moderne, abbiamo indagato vari scenari demografici diversi per taglia delle popolazioni e per tasso di crescita, che hanno potuto portare allo sviluppo della attuale popolazione veneta. Tramite il confronto statistico dei dati di diversità genetica osservata, con quelli simulati è stato possibile escludere alcuni scenari evolutivi, ed evidenziarne altri più probabili.
The identification of genes involved in the pathogenesis of multifactorial diseases would help to shed some light on their physiopathology with significant aid in on the prevention and development of new therapeutic approaches. Genetic isolates with a history of a small founder population, long-lasting isolation and population bottlenecks represent exceptional resources in the identification of disease genes. In these populations the disease allele reveals Linkage Disequilibrium (LD) with markers over significant genetic intervals, therefore facilitating disease locus identification. In a previous work we have examined the LD extension on the Xq13 region in three sub-populations of Corsica belonging to the internal mountainous region of the island. Here we have extended the analysis to the Corsican population of the coast. We found a decreasing of LD in this area. This result indicate a cline of LD inside the island which could be useful for the fine mapping of a gene contributing to a complex disease first mapped using the isolated, high LD, population of the same region. Moreover we reported the frequencies of a particular haplotype (DXS1225-DXS8082) in Corsican population which is typical of the island is not common in other European populations.
La mappatura di loci
specifici di dimensioni ridotte (800-450 Kb) attribuisce un notevole
potere risolutivo allo studio dei riarrangiamenti cromosomici di
interesse filogenetico. Il locus conosciuto come Williams-Beuren, dal
nome della sindrome umana da microdelezione, mappa nel braccio q del
cromosoma 7. La sintenia 7 ha un’origine molto complessa,
investigata e descritta di recente (Murphy et al., 2001; Müller
et al., 2004). La sintenia, nella sua evoluzione nei mammiferi e in
particolare nei primati, è riscontrabile sotto forma di due
distinti segmenti, uno dei quali, di minor dimensioni, si ritrova
frequentemente associato con altre sintenie, quali la #16 (Euteri
“ancestrali” e Strepsirrhini) e la #5 (Platyrrhini).
Metafasi di H.sapiens, P.pygmaeus, P.troglodytes, G.gorilla,
C.aethiops, C.neglectus, M.fascicularis, T.cristata, C.argentata
(M.argentatus), C.cupreus, A.caraja, S.oedipus, C.goeldii,
S.sciureus, A.paniscus, L.lagothrica, C.pygmaea sono state ibridate
con le metodiche correnti. Con l’eccezione di HSA, PPY, GGO,
PTR, CAE, MFA e TCR (LS e DR) tutti i campioni sono stati preparati
da RS presso i laboratori del National Cancer Institute (Frederick,
USA). Le ricerche effettuate nel periodo 2003-2007 (in parte
pubblicate: Sineo e Romagno 2006; Sineo et al., 2007) hanno portato:
al mappaggio, nelle diverse specie di Anthropoidea, del locus
HSA7q11.23, che si mostra, con un’unica eccezione (CCU),
incluso nella sintenia comprendente il frammento HSA 7p22-qter - 7q
22.22, e a valutazioni circa l’evoluzione della sintenia e le
relazioni tra le specie. Questo approccio si è dimostrato
utile nell’indagine di riarrangiamenti cromosomici individuati
con il banding e quale supporto essenziale all’analisi genomica
condotta mediante le metodologie di Reciprocal Painting.
Müller
S, Finelli A, Neusser M, Wienberg J. 2004. The
evolutionary History of Chromosome 7. Genomics 84: 458-467
Murphy
WJ, Stanyon R, O’Brien S. 2001. Evolution of Mammalian genome
organization inferred from comparative gene mapping. Genomic Biology
2 (6: Rev. 0005.1-.8)
Sineo L e Romagno D. 2006. Born and Rise of
Human Chromosome 7 Syntenies. In: Sineo L, Stanyon R (eds) Primate
Cytogenetics and Comparative Genomics. Firenze Firenze
University Press, pp. 57-66
Sineo L, Dumas F, Vitturi R, Picone B,
Privitera O, Stanyon R. 2007. William Beuren
mapping in C. argentata, C. cupreus and Alouatta caraja indicates
different patterns of chromosomal rearrangements in neotropical
primates. J Zool Syst Evol Res Published article online:
14-May-2007
Recent advances in DNA technology have made possible to recover DNA from archaeological and palaeontological remains allowing to the scientist to go back in time studying the genetic relationships of extinct organisms to their contemporary relatives. In particular mammals museum collections represents a good source of materials that can be very important in the light of systematics and phylogenetic surveys as they can be representative of an extinct population or of an ancient genetic variability. One of the new and most important field of application ancient molecular Primatology (AMP). Due to the ecological pressure and progressive deforestation extant wild ranging primates are a very limited representation of ancient wild populations. Several extinction events took place in recent decades. Issues in systematics and even more in phylogeny are still open as like a series of interesting questions on the evolution of gene sequences as like lactase, alcohol dehydrogenase, or T-cell receptor architecture. Here we present preliminary results obtained by DNA extraction, PCR specific-amplification, cloning and sequencing of mitochondrial 16S ribosomal RNA from museum bone specimens of Pongo pygmaeus (Primates, Catarrhinae, Pongidae).
Le prove scientifiche a favore delle influenze
genetiche sulla prestazione sportiva d’elite hanno subito un
forte incremento nell’ultimo decennio. Differenze significative
nella distribuzione delle frequenze del genotipo dell’ACTN3
(alfa-actinina 3) sono state riscontrate tra gli atleti praticanti
discipline di sprint/potenza e di endurance.
Il polimorfismo del
gene ACTN3 si presenta con due varianti alleliche (R e X) e quindi 3
diversi genotipi: 577RR, 577XX e R577X.
L’allele 577R del
gene ACTN3 codifica per la produzione della proteina alfa-actinina 3,
che è espressa esclusivamente nel disco Z delle fibre di tipo
II del muscolo scheletrico, responsabili della generazione di forti
contrazioni ad alte velocità. L’alfa-actinina 3 gioca un
ruolo decisivo nel legame con i filamenti dell’actina assumendo
sia una funzione statica nell'effettuare l'allineamento
miofibrillare, sia una funzione regolatrice nella contrazione
muscolare.
Recenti risultati sugli atleti d’elite
suggeriscono che l’allele 577R conferisce un vantaggio nella
performance di sprint e potenza ad alti livelli agonistici e lo scopo
del presente lavoro è quello di verificare se tale vantaggio
sussiste anche nella performance sportiva d’elite della
ginnastica artistica.
Per verificare questa ipotesi, abbiamo
studiato la distribuzione allelica e genotipica dell’ACTN3 sui
35 Ginnasti delle Squadre Nazionali Italiane (2007) Juniores e
Seniores di Ginnastica Artistica (17 maschi e 18 femmine) che avevano
raggiunti livelli agonistici Mondiali ed Olimpici. I risultati
ottenuti sono stati confrontati con un gruppo di controllo formato da
53 soggetti (31 maschi e 22 femmine) sani e sedentari. Il DNA è
stato estratto da ciascun soggetto utilizzando un tampone salivare.
L’elaborazione statistica dei dati è stata condotta
mediante il programma Genepop (v.4.0.3).
Differenze significative
(p=0.035) nella distribuzione delle frequenze genotipiche si sono
riscontrate tra gruppo dei ginnasti: RR=48.57%; RX=48.57% e XX=2.86%
e gruppo di controllo: RR=32.07%; RX=49.05%; XX=18.86%. Si sono
evidenziate frequenze significativamente più alte dell’allele
577R nei ginnasti rispetto al controllo (R=72.85% vs R=56.60%). I
nostri risultati si trovano in accordo con quanto descritto in
letteratura relativamente all’associazione tra polimorfismo
dell’ACTN3 e performance sportiva degli atleti di sprint (Yang
et al., 2003). Questi ultimi, infatti, presentano frequenze
significativamente più elevate dell’allele 577R rispetto
alla popolazione normale ed agli atleti di endurance. Ciò
suggerisce che la presenza di alfa-actinina-3 abbia un effetto
benefico sulla funzione del muscolo scheletrico nella generazione di
forti contrazioni ad alte velocità. In considerazione dei
risultati ottenuti e analizzata la natura della performance nella
ginnastica artistica (caratterizzata dall’esecuzione di
esercizi acrobatici che richiedono lo sviluppo di forti contrazioni
muscolari ad alte velocità), si può concludere che il
ruolo assunto dall’alfa-actinina 3 nel favorire la performance
d’elite di sprint e potenza (Yang. et al., 2003; Niemi e
Majamaa, 2005) possa essere il medesimo anche per la ginnastica
artistica.
In questo studio, sono stati analizzati sette
polimorfismi in 100 individui presentanti una sintomatologia tipica
delle coronopatie e in 100 individui sani originari del centro della
Corsica (Francia).
Questi sette polimorfismi sono localizzati in
sei regioni geniche coinvolte: 1) Regolazione del sistema
renina-angiotensina (ACE I/D), 2) Metabolismo dei lipidi: Colesterolo
ester transferasi (CETP TAQ1B), 3) Aggregazione delle piastrine:
subunità alfa e beta del complesso delle integrine (GpIIb HPA3
and GpIIIa Pl A1/A2), 4) Fibrinolisi: Attivatore del Plasminogeno
(PLAT TPA25 I/D), Metilenetraidrofolato reduttasi (MTHFR C677T e
A1298C).
I campioni sono stati amplificati e digeriti tramite gli
enzimi di restrizione (RFLPs).
Nessuna differenza significativa è
stata trovata tra il gruppo dei pazienti e dei controlli per quanto
riguarda le frequenze alleliche.
La frequenza del genotipo MTHFR
T677T e dell’aplotipo T677T /A1298A è più elevata
nei casi (20%) che nei controlli (4%). L’Odds ratio sembrerebbe
indicare che gli individui che presentano il genotipo MTHFR T677T e
l’aplotipo T677T/A1298A presentano un rischio sei volte
superiore di sviluppare la malattia cardiovascolare (OR= 6; 95% CI
=1.96-18.28) suggerendo una possibile associazione del genotipo MTHFR
T677T con il rischio di coronoropatie nella popolazione
corsa.
Questa ricerca è stata realizzata grazie ai
fondi della comunità europea (Programmes INTERREG).
La presente ricerca si propone di analizzare la struttura genetica, individuare le origini di un gruppo nativo amerindiano della Selva Centrale del Perù e stimarne il grado di admixture in seguito ai fenomeni migratori e di colonizzazione subiti.
Gli Yanesha, sino ad ora studiati solo su base linguistica, si sarebbero distaccati dal gruppo madre Arawak circa 4000 anni fa, andando incontro a progressivi mescolamenti con le popolazioni Quechua dell’area subandina. La popolazione Yanesha è attualmente costituita da poco meno di 10.000 individui, distribuiti in 31 comunità stanziali della provincia di Oxapampa. Le comunità sono disperse in tre macro aree con diverse caratteristiche ambientali e socioeconomiche: zona alta (700- 2000 m.s.l.m.), zona media (300- 700 m.s.l.m.) e zona bassa (<300 m). Le tre macro aree hanno anche un significato storico-demografico: la parte alta rappresenta infatti l’antico areale originario, precedente alla colonizzazione spagnola, mentre le altre due costituiscono le zone popolate tra il 1530 ed oggi in seguito alla pressione colonizzatrice.
Nel corso di una spedizione effettuata nel maggio 2007 sono stati raccolti oltre 300 campioni di mucosa buccale provenienti da individui di 6 comunità della selva alta (Tsachopen, Mayme, Ñagazu, Milagros, Cacazù, Yurinaqui) e 5 della selva media (Nueva Esperanza, 7 de Junio, Alto Isco, Shiringa, Loma Linda). Per ciascun individuo è disponibile una scheda biodemografica con informazioni su cognomi, etnia, nascita e residenza dei genitori e nonni dei soggetti campionati. Il campionamento è stato effettuato con il consenso informato dei singoli soggetti ed a seguito di un protocollo di intesa firmato con il Cornesha delle Comunità.
La presente ricerca si propone dunque di analizzare la variabilità genetica a livello mitocondriale (HVRI e RFLPs della regione codificante) e del cromosoma Y (SNPs e STRs) di una popolazione di origine amazzonica che può costituire, per la sua localizzazione geografica e la sua storia, lo strumento per inferire alcuni dei principali movimenti migratori che hanno interessato il sud-America.
I risultati preliminari fino ad ora ottenuti sono finalizzati ad una serie di obiettivi specifici: 1. prima caratterizzazione genetico-molecolare di una popolazione di origine Arawak; 2. analisi della distribuzione della variabilità dei marcatori di linea; 3. analisi dei patterns di flusso genico e di deriva che hanno interessato le singole comunità; 4. stima dei livelli di admixture con individuazione dei contributo genetici derivanti dal contatto con i gruppi Quechua Andini e con popolazioni europee.
Gli studi sul DNA umano antico utilizzano
principalmente ossa e denti come fonti di materiale genetico. Nel
corso delle loro storia tafonomica questi resti umani vanno
inevitabilmente incontro a contaminazioni sia da parte di
microrganismi che, crescendo saprofiticamente a spese del materiale
cellulare, lo degradano e lo impoveriscono del DNA originale, sia da
parte della manipolazione del resto stesso compiuta dagli operatori
che maneggiano i campioni. Nonostante l’attenzione del mondo
scientifico nello sviluppo di sistemi atti alla rimozione anche
meccanica di eventuali contaminanti presenti e nell’elaborazione
di sofisticati metodi di autenticazione dei risultati ottenuti con
l’analisi del DNA antico, il problema delle contaminazioni dei
campioni ossei rimane uno dei problemi fondamentali e non ancora
largamente. Tutto ciò incide molto sull’attendibilità
dei risultati ottenuti. In questo lavoro, allo scopo di studiare e
capire gli effetti della manipolazione sull’ottenimento del
profilo genetico autentico del campione, abbiamo deciso di analizzare
e confrontare i profili mitocondriali ottenuti in seguito all’analisi
di distretti ossei diversi (femore, ulna, costa e dente) appartenenti
ad individui diversi organizzati in due set di campioni: campioni
“vergini” cioè prelevati dagli archeologi con
guanti, mascherina e camice e immediatamente mandati in laboratorio
per l’analisi e campioni “lab” manipolati dagli
studiosi come sono soliti fare. Lo scopo del lavoro è stato
quello di investigare:
i) quanto i metodi di pulizia applicati
nell’analisi del DNA antico siano atti alla rimozione delle
contaminazioni dovute a DNA moderno,
ii) quanto la manipolazione
del campione da parte degli operatori possa incidere sull’ottenimento
di un profilo mitocondriale autentico, agendo in qualche modo sulla
qualità e/o sulla quantità del materiale genetico
presente,
iii) se esistano distretti ossei maggiormente soggetti
alle contaminazioni.
Al fine di poter escludere la presenza di
eventuali profili contaminanti esogeni dovuti alla manipolazione,
tutte le persone che hanno scavato ed analizzato i campioni sono
state tipizzate in modo da poter sostenere l’autenticità
del dato genetico ottenuto. I risultati preliminari ottenuti da
questa analisi hanno mostrato, in primo luogo, come sia stato più
facile ottenere un primo profilo genetico parziale dai campioni
“vergini” rispetto ai campioni “lab.” facendo
questo ipotizzare che il DNA nei campioni “vergini”, non
manipolati, sia in qualche modo meglio conservato e/o in quantità
maggiore, condizione quest’ultima presumibilmente dovuta alla
manipolazione ed al lavaggio a cui i campioni vengono sottoposti da
parte degli archeologi. I dati inoltre sembrano sostenere l’efficacia
dei metodi di pulizia applicati: non sono state infatti fino ad ora
riscontrate sequenze contaminanti riconducibili a coloro che hanno
manipolato le ossa. Infine ancora non è emerso alcun dato
chiaro che possa evidenziare se ci sia un distretto osseo più
suscettibile alle contaminazioni.
La Basilicata, grazie alla sua posizione geografica nel
cuore dell’Italia meridionale, ai due sbocchi sul mare, uno sul
versante ionico e l’atro sul versante tirrenico, e alla
ricchezza di fiumi che rendono il suo territorio particolarmente
fertile, è sempre stata una terra contesa e un importante
crocevia di popoli e culture, che in ogni epoca hanno lasciato le
testimonianze del loro passaggio.
Per questo lavoro è stato
preso in esame un campione di 80 individui di accertata genealogia
materna lucana. L’estrazione del DNA è stata effettuata
da mucosa buccale. È stata studiata la variabilità
genetica a livello del mtDNA: per ciascun individuo sono state
ottenute le sequenze dei segmenti ipervariabili HVS-I (15996-16401) e
HVS-II (00029-00408) del D-loop; inoltre sono stati analizzati,
tramite enzimi di restrizione, alcuni polimorfismi della regione
codificante particolarmente informativi per la
classificazione.
All’interno del campione sono stati
individuati 58 aplotipi diversi, classificabili in 13 aplogruppi. I
risultati osservati sono stati confrontati con quelli già noti
per l’Italia centro-meridionale e con quelli di altre
popolazioni dell’Europa e del bacino del Mediterraneo,
pubblicati in letteratura.
Dal confronto della distribuzione delle
frequenze degli aplogruppi in Basilicata e nell’Italia centrale
la popolazione in esame rientra chiaramente nella variabilità
caratteristica della nostra penisola. La differenza più
evidente rispetto alle altre regioni è l’elevata
frequenza dell’aplogruppo K.
Il pattern di variabilità
osservato a livello delle sequenze si inserisce nel contesto
filogenetico dell’area del Mediterraneo.
In conclusione, i
dati presentati sul campione lucano sono concordi con tutti quelli
già noti, confermando quanto inferito dalle ricostruzioni
paleoantropologiche e archeologiche.
La Penisola del Bird’s Head costituisce
l’estremità nord-occidentale della Nuova Guinea e si
configura come un’area di transizione culturale e linguistica
tra la parte orientale dell’Indonesia insulare e la vicina
Melanesia. Fin dal primo popolamento della Nuova Guinea questa
penisola è stata porta d’ingresso di migrazioni umane e
di successivi contatti e scambi con i vicini arcipelaghi, le cui
tracce sono evidenti nella varietà culturale e linguistica
delle sue popolazioni, parlanti sia lingue Papua che Austronesiane.
Sono qui presentati i primi risultati di un’indagine sulla
variabilità mitocondriale delle popolazioni Bird’s Head
e della Nuova Guinea nord-occidentale. È stata analizzata la
regione ipervariabile 1 (HVS1) del DNA mitocondriale estratto da
radice di capello e/o da cellule dell’epitelio della mucosa
buccale di 265 soggetti appartenenti a 15 gruppi etnici diversi. Il
sequenziamento ha identificato 90 siti varianti, che definiscono 108
aplotipi, di cui 46 sono condivisi. È stata inoltre effettuata
l’analisi RFLP della regione codificante. Le due analisi
congiunte hanno reso possibile l’attribuzione dei soggetti a 13
sottoaplogruppi appartenenti ai due maggiori raggruppamenti M ed
N.
La diversità aplotipica e nucleotidica all’interno
delle popolazioni è stata stimata mediante il calcolo di FST e
AMOVA. Un albero Neighbor-Joining senza radice, costruito utilizzando
la matrice delle distanze FST, e un Median Joining Network, ottenuto
mediante il programma NETWORK, hanno permesso di evidenziare le
relazioni degli aplotipi all’interno di ciascun aplogruppo. Lo
stesso programma è stato utilizzato per calcolare il tempo di
coalescenza di ogni aplogruppo, successivamente confrontato con
quelli riportati in letteratura.
I risultati confermano l’alta
eterogeneità popolazionistica e la condivisione di aplotipi
tra gruppi, a prescindere dalla diversità linguistica e dalla
loro collocazione geografica.
La frequenza dell’aplogruppo
Q1 prevale nelle popolazioni del versante sud occidentale della
regione, raggiungendo il 90% negli Ekkari, confermando così
una rete di collegamenti e contatti con la parte centrale dell’isola,
dove questo aplogruppo è prevalente. Gli aplogruppi P1 e B
sono variamente distribuiti e relativamente frequenti negli abitanti
dell’area costiera orientale e delle isole. Le datazioni degli
aplogruppi ne indicano l’antichità, e – come già
ipotizzato da Birdsell (1977) - confermano questa penisola come punto
d’approdo privilegiato per il primo popolamento del Sahul, il
paleocontinente che nel Pleistocene riuniva Nuova Guinea e Australia.
Birdsell JB, 1977. The recalibration of a
paradigm for the first peopling of Greater Australia. In: J.Allen,
J.Golson and R.Jones (eds.), Sunda and Sahul: Prehistoric Studies in
Southeast Asia, Melanesia, and Australia, pp. 113-168, New York,
Academic Press.
The Caucasus region provides a great
opportunity to investigate the influence of geography and language on
the genetic structure of human populations. About 50 ethnic groups
speaking Caucasian, Indo-European and Turkic languages live in this
region, while mountain ranges reaching over 5000 m represent strong
geographic barriers to gene flows.
In order to investigate the
genetic variability and relationships of Caucasus populations, 17
YSTR loci were analyzed among seven ethnic groups. from Daghestan
(Northern Caucasus)..
Genomic DNA from unrelated informed donors
(N=144) was PCR-amplified using the "AmpFlSTR®Y-filerT"
kit (Applied Biosystems®). The length of PCR products was
estimated with the ABI-PRISM 310 genetic analyzer using the GeneScan®
(Applied Biosystems®) software. The assignment of YSTR haplotypes
to binary states defining haplogroups was obtained by a Bayesian
method (Athey, 2006) with output scores > 70. The basic parameters
of molecular diversity and population genetic structure, including
the concordance between geography, language and genetic structure was
investigated by AMOVA and Mantel tests using the software Arlequin
3.0.
The results showed that the seven Daghestan ethnic groups
fall into the range of Y-STR and Y-SNP variability of Caucasian
populations, However some peculiar characteristics make Daghestan
region an outlier in the Caucasus genetic scene. The mean level of
genetic differentiation (FST = 0.138; p = 0.0000) was high and
significant. Private alleles were found at DYS458, DYS448 and DYS385
loci.
Linguistic barriers didn’t appear the main
determinants of the high between-population Y-chromosome variability
observed in the Caucasus. Eventually, founder effect and long-term
genetic drift caused by the rigid structuring of societies in groups
of patrilineal descent remain the best explanation of the genetic
divergence among Caucasian ethnics and of the presence of rare
allelic variants.
Athey WT 2006. Haplogroup Prediction from
Y-STR Values Using a Bayesian-Allele-Frequency Approach. J of Genet
Geneal 2:34-39.
Nel dibattito che riguarda l’origine dell’uomo
moderno e i suoi rapporti evolutivi con le forme arcaiche di Homo, in
particolare i Neandertaliani, resta ancora da chiarire se tra le due
specie ci sia stata ibridazione e se questi ultimi abbiano in qualche
modo contribuito alla costituzione del pool genetico moderno. La
difficoltà di valutare l’entità di questo
contributo risiede nel fatto che, a causa della deriva genetica,
bassi livelli di flusso genico, come quello che può essere
avvenuto dai Neandertaliani verso i primi Homo sapiens, non hanno
lasciato grosse tracce nel pool genetico moderno. L’unico modo
per poter identificare nei nostri geni un eventuale contributo dei
Neandertaliani è legato all’introgressione di alleli
sottoposti a selezione positiva. Recentemente è stato
individuato un marcatore, il gene della microcefalina, una proteina
che interviene durante lo sviluppo del sistema nervoso, che è
stato sottoposto a selezione positiva lungo la linea evolutiva umana.
Particolare attenzione è stata rivolta alla posizione 37995 in
cui la presenza di una citosina (allele derivato, D) al posto della
guanina, mutazione che determina un cambiamento aminoacidico nella
proteina, caratterizza una serie di aplotipi nettamente divergenti
dagli altri; l’allele D è di origine recente (≈37.000
anni fa) ma è presente attualmente ad alta frequenza in
particolare nelle popolazioni europee (>70%). Per spiegare questo
particolare andamento al locus MCPH1, tramite analisi statistiche di
coalescenza seriale è stato ipotizzato che l’allele D
rappresenti un esempio di flusso genico dalla popolazione
neandertaliana, in cui esso era fissato, verso la popolazione degli
antichi sapiens, in cui invece tale allele era assente; questo evento
di ibridazione sarebbe stato raro ed avrebbe portato
all’introgressione di una singola copia dell’allele che
poi si sarebbe diffuso sotto la spinta della selezione positiva nelle
popolazioni sapiens fino a raggiungere le frequenze attuali.
Nonostante le difficoltà che caratterizzano il recupero e
l’analisi del DNA nucleare da reperti antichi, per verificare
questa ipotesi abbiamo amplificato, clonato e sequenziato un piccolo
frammento di circa 70 paia basi attorno alla posizione 37995 del gene
MCPH1 di un reperto neandertaliano italiano di circa 50.000 anni fa
proveniente da Riparo Mezzena, nei monti Lessini (VR); sulla base dei
risultati ottenuti da una serie di analisi precedenti tale reperto si
era rivelato, infatti, eccezionalmente ben preservato e privo di
contaminazioni da parte di DNA umano moderno.
Abbiamo riscontrato
che tutte le sequenze di MCPH1 ottenute presentano alla posizione
37995 l’allele ancestrale G. Alla luce di questo dato, se
confermato, sembra improbabile che l’allele D sia il retaggio
di un flusso genico avvenuto dal pool nenadertaliano verso quello
sapiens, mentre è più probabile che tale allele si sia
originato per mutazione nella linea evolutiva di Homo sapiens.
L’individuazione dei loci che hanno subito una
recente pressione selettiva è utile sia da un punto di vista
epidemiogenetico che antropologico molecolare. È possibile
identificare markers correlati con la differente suscettibilità
alle patologie e individuare i marcatori non “neutri”,
non utilizzabili nelle analisi popolazionistiche. Sono stati
elaborati numerosi test di neutralità selettiva, basati su
vari modelli di genetica di popolazione. Tale caratteristica rende
necessario l’utilizzo simultaneo di più test,
identificando come loci candidati ad aver subito fenomeni di
selezione naturale esclusivamente quelli che risultano significativi
in tutti i test.
Lo scopo di questo lavoro è stato quello
di individuare dei loci la cui variabilità è stata
influenzata dalla pressione selettiva in alcune popolazioni umane del
Mediterraneo.
Il campione analizzato consiste di 429 individui
provenienti da 6 popolazioni del Mediterraneo (Sardegna, Spagna,
Isole Baleari, Sicilia, Toscana e Marocco). I polimorfismi analizzati
(17 STRs) sono localizzati in geni codificanti per enzimi del
metabolismo ossidativo, proteine del sistema immunitario ed
eritrocitarie. L’analisi è stata eseguita mediante PCR
con primers fluorescenti e lettura con ABI 3730 DNA analyzer. I dati
sono stati elaborati applicando tre test di neutralità
selettiva basati sui confronti a coppie tra le popolazioni: Fst, F e
LnRH test (Beaumont and Nichols, 1996; Vitalis et al., 2001;
Schlotterer, 2002).
I risultati mostrano il 15.6% di scostamenti
dai modelli di neutralità (il 67.3% con significatività
all’1%). Confrontando i tre test applicati, l’F test
mostra il 34.4% dei confronti significativi, rispetto al 6.7% e 5.9%
dell’Fst e LnRH test rispettivamente. Due polimorfismi mostrano
scostamento dalla neutralità in tutti i test: il TNFe (GA)n
(Sicilia vs Toscana), il NOS1 EX29 (Sicilia vs Marocco e Isole
Baleari vs Marocco).
In conclusione, i possibili loci soggetti a
una selezione naturale o in Linkage Disequilibrium con una regione
che presenti questi patterns sono il TNFe (GA)n e il NOS1 (CA)n EX29.
I risultati non dimostrano la presenza della selezione, ma permettono
di identificare loci sui quali svolgere valutazioni più
dettagliate. La non concordanza dei risultati ottenuti con i
differenti test, già osservata in altri lavori, è
probabilmente dovuta alla difficoltà di valutare la storia
demografica delle popolazioni e il tasso di mutazione dei loci, che
porta alla mancata assunzione di tutte le condizioni previste dai
modelli utilizzati nei test di neutralità.
Bibliografia
Beaumont
MA, and Nichols RA. Evaluating loci for use
in the genetic analysis of population structure. 1996.
Proc R Soc Lon 263:1619-1626.
Schlotterer
C. 2002. A microsatellite-based multilocus screen for the
identification of local selective sweeps. Genetics
160:753-763.
Vitalis R, Dawson K, and Boursot P. 2001.
Interpretation of variation across marker loci as evidence of
selection. Genetics 158:1811-1823
L’Immunodeficienza Comune Variabile (CVID) è
una patologia che presenta un quadro clinico complesso comprendente
disordini a carico del sistema immunitario caratterizzati da una
ridotta risposta anticorpale dovuta a bassi livelli di
immunoglobuline nel siero.
Mutazioni a carico del gene TNFRSF13B,
in posizione 17p11.2 e codificante per TACI, risultano associate a
CVID o a deficit di IgA.
TACI è infatti un Tumor Necrosis
Factor Receptor che viene espresso sulla superficie dei linfociti B
regolandone la sopravvivenza, lo switching isotipico e la risposta
anticorpale mediante l’interazione con specifici ligandi.
Lo
scopo del presente lavoro è stato quello di condurre
un’analisi della diversità aplotipica in soggetti
italiani malati e sani, per valutare se vi fosse una differenza di
associazioni fra mutazioni causative e combinazioni di stati allelici
nei differenti gruppi. È stato inoltre esaminato un pannello
di campioni africani al fine di ampliare il quadro già
esistente della variabilità del gene, mai studiato prima in
popolazioni extra-europee.
I 5 esoni costituenti TNFRSF13B sono
stati analizzati mediante sequenziamento diretto in 115 individui
affetti da CVID, 96 controlli sani rappresentativi della popolazione
italiana, 96 controlli sani provenienti dalla Val Scalve (BG) e 96
controlli sani rappresentativi della maggior parte del continente
africano.
Sono stati identificati 21 polimorfismi e 7 mutazioni
causative. Quattro siti variabili riscontrati nel campione africano
non sono mai stati riportati prima in letteratura.
Sono stati
inferiti 51 aplotipi di cui 21 risultano condivisi da due o più
gruppi.
La matrice di distanze genetiche, calcolata mediante la
stima delle differenze a coppie fra i vari gruppi, ha dato valori
significativi in tutti i confronti riguardanti il campione africano e
il campione della Val Scalve (p=0.000). Sono invece risultate non
significative le distanze fra soggetti malati e controlli sani
(p=0.82).
Il confronto effettuato considerando tre gruppi
principali (malati, sani, africani) mediante analisi della varianza
molecolare (AMOVA) ha evidenziato una valore di variabilità
tra gruppi del 2,09 % (FCT=0,02087; p=0,53), dell'11,93 % fra le
popolazioni entro lo stesso gruppo e del 85,98 % fra gli individui
entro popolazione. Il campione della Val Scalve ha mostrato i valori
minori per quanto concerne il numero di siti polimorfici (S=8), gli
aplotipi inferiti (K=11) e la diversità aplotipica (H=0,694 ±
0,026). Inoltre il suo aplotipo a maggiore frequenza (48 %), è
risultato essere specifico del gruppo e privo di alleli mutati. Pur
ipotizzando che si sia verificato un effetto fondatore e che la
popolazione scalvina sia andata incontro ad un forte isolamento, tale
aplotipo non è stato trovato nel campione rappresentativo
della popolazione italiana.
Interessante è infine la
totale assenza di mutazioni causative nel campione africano che
potrebbe rappresentare una conferma dell’impatto che esse hanno
sullo sviluppo della patologia, se fosse vera l’ipotesi che in
paesi privi di una copertura sanitaria adeguata la sopravvivenza
degli individui affetti da CVID risulta fortemente compromessa.
La storia umana nei
Balcani è molto complessa a causa dei numerosi processi di
migrazione che hanno interessato la penisola già dalla prima
occupazione da parte dell’umanità anatomicamente
moderna, e della presenza di popoli che parlano lingue appartenenti a
diverse sottofamiglie della famiglia linguistica Indo-Europea.
In
questa ricerca abbiamo analizzato la variabilità genetica, a
livello del DNA mitocondriale (mtDNA), in un campione di individui di
origine serba e per avere una visione complessiva della diversità
genetica nei Balcani, abbiamo confrontato le sequenze ottenute con i
dati, raccolti in letteratura, che riguardano le altre popolazioni
dell’area.
Il DNA genomico è stato estratto da mucosa
buccale di 54 adulti. Sono state sequenziate le due regioni
ipervariabili del D-loop e analizzate alcune posizioni polimorfiche
della zona codificante, diagnostiche per l’inserimento dei vari
aplotipi nella filogenesi mondiale dell’mtDNA proposta da
Macaulay and Richards
(http://www.stats.gla.ac.uk/~vincent/images/skeleton07-08-02.jpg).
A
partire dalle sequenze dei due segmenti del D-loop sono stati
analizzati alcuni indici di diversità e sono state effettuate
delle analisi statistiche che hanno permesso di estrarre informazioni
di carattere genetico e demografico. Le sequenze, i cui rapporti sono
stati delineati attraverso la costruzione di un Network, sono state
attribuite a 16 aplogruppi diversi, 15 di origine eurasiatica ed uno
solo di origine africana. I valori di divergenza genetica hanno messo
in evidenza un elevato grado di variabilità genetica mentre la
rappresentazione della distribuzione delle differenze nucleotidiche
tra coppie di sequenze, e il valore del test di neutralità
selettiva di Tajima suggeriscono che la popolazione sia andata
incontro ad una recente espansione demografica.
L’analisi
delle sequenze dei campioni dell’area dei Balcani e del resto
d’Europa ci ha permesso di descrivere lo scenario genetico
della regione geografica dei Balcani.
Le misure della divergenza
genetica tra coppie di popolazioni sono state rappresentate
graficamente mediante Multidimensional Scaling. È stata
inoltre effettuata un’Analisi delle Componenti Principali e
un’analisi della varianza molecolare, AMOVA.
Lo studio è
stato esteso anche a popolazioni del resto dell’Europa per
comprendere se l’area dei Balcani rappresenti una realtà
distinta dalle altre popolazioni europee oppure se la variabilità
osservata concordi con quella europea.
Non sono state evidenziate
significative differenze fra le popolazioni balcaniche e fra queste e
altre popolazioni europee, anzi la variabilità genetica
osservata e in accordo con quella osservata nel resto dell’Europa
e pertanto, questo studio sembra suggerire che, nei Balcani, non ci
sono correlazioni fra le differenze genetiche e le differenze
linguistiche ed etniche.
Si può affermare che i Balcani,
compresa la Serbia, e il resto dell’Europa, con poche eccezioni
rappresentate da alcuni isolati come alcune popolazioni della costa e
delle isole della Croazia, costituiscono un’entità
genetica, a livello del mtDNA, piuttosto omogenea.
Lo studio delle forze che influenzano la distribuzione della variabilità genetica fra popolazioni umane è un campo di ricerca di grande interesse per comprendere le dinamiche evolutive che determinano la struttura genetica delle popolazioni. La geografia appare come il fattore principale in questi processi, ma c’è una crescente mole di dati che suggerisce come anche la cultura possa avere un ruolo non trascurabile. Il linguaggio è senza dubbio uno degli aspetti culturali più caratterizzanti delle popolazioni umane. In passato è stata evidenziata una generale correlazione tra le maggiori famiglie linguistiche e le popolazioni umane, ma a livello continentale la geografia sembra essere l’elemento principale responsabile dell’attuale distribuzione di variabilità genetica fra popolazioni. È comunque da sottolineare che gli studi fino ad ora effettuati non si sono focalizzati in maniera specifica su questa problematica oppure non hanno tenuto in considerazione fattori confondenti come le distanze e le barriere geografiche, non rendendo possibile un’analisi appropriata dell’influenza delle lingue. In questo lavoro presentiamo lo studio della variabilità genetica di una serie di isolati linguistici e dei relativi vicini geografici, proponendo un approccio micro-geografico teso a minimizzare e controllare i fattori di disturbo e a focalizzare l’attenzione sul contributo delle lingue. Data la grande eterogeneità geografica, culturale e storica degli isolati linguistici presenti, l’Italia rappresenta un’area ottimale per questo tipo di studi. I dati genetici saranno discussi in funzione dell’origine degli isolati, dell’effetto delle lingue sul flusso genico e delle implicazioni a livello della struttura genetica.
ABSTRACT MANCANTE