La Sardegna è stata oggetto di studio da parte
di numerosi ricercatori di diverse discipline: antropologiche,
archeologiche, linguistiche, mediche, e di genetica di popolazione.
Questo interesse è dovuto al lungo periodo (preistorico e
storico) di isolamento geografico dell’isola dal resto del
continente italiano e dal Mediterraneo, che ne ha determinato la
struttura genetica attraverso l’azione di diversi fattori
evolutivi che hanno agito nel tempo, quali: l’effetto
fondatore, l’effetto bottlneck, l’alto tasso di endogamia
e consanguineità. In questo lavoro vengono presi in
considerazione 17 loci STR del cromosoma Y su un campione di 100
soggetti maschi, sani, autoctoni del Nord-Sardegna, non imparentati
fra loro. L’analisi dei loci è stata eseguita attraverso
l’AmpFISTR-Yfiler.
Gli STR dell’Y analizzati sembrano
indicare alcune particolarità del Nord Sardegna. I siti DYS438
e DYS458 hanno mostrato alleli non-consensus. Con l’eccezione
dei loci DYS19, DYS392 e DYS438, che hanno mostrato una distribuzione
bimodale, tutti gli altri STR hanno mostrato una distribuzione
unimodale. La distribuzione bimodale nel Nord Sardegna, come già
riportato per altre popolazioni europee, potrebbe essere il risultato
di flusso genico e fattori migratori, altri studi hanno messo in luce
un flusso genico fra Nord Sardegna e Sud Corsica.
Abbiamo
osservato un totale di 91 distinti aplotipi, tra i quali 82 erano
presenti una sola volta, e 9 aplotipi erano condivisi da due
individui ciascuno.
Il modo più comune per misurare la
relazione tra due individui è quello di calcolare la diversità
aplotipica (H) che rappresenta la probabilità che due aplotipi
scelti casualmente nella popolazione siano identici: dall’analisi
del 17 Y-plex della popolazione del nord Sardegna la H è
risultata di 0,998. Il 17 AmpFlSTR Yfiler, ha mostrato un potere
discriminante più alto ed è anche più
informativo rispetto a sistemi con un numero di loci inferiore
(European minimal haplotype e 12 Y-plex)
Per poter analizzare le
relazioni filogenetiche degli aplotipi emersi dall’analisi dei
dati è stato costruito un Network Median-Joining. L’albero
è rappresentato da un cluster molto fitto dove gli aplotipi
sono per la maggior parte distanti l’uno dall’altro per
un solo passo di mutazione. In questo cluster cade circa il 56% degli
aplotipi individuati, il che ci fa presupporre che in questo cluster
ci possa essere l’aplotipo ancestrale da cui si sarebbero
differenziati tutti gli altri. Gli altri aplotipi si trovano
distanziati per parecchi passi di mutazione, il che denota un certo
grado di differenziazione di questa popolazione che potrebbe
riflettere le numerose invasioni subite da questa zona della Sardegna
nel corso del tempo.
Il nostro campione è stato confrontato
con i dati sugli stessi loci disponibili in bibliografia su altre
popolazioni europee (Nord Est Italia, Polonia Centrale, Austria, Nord
Portogallo) e una popolazione di Tunisini, tutti i confronti hanno
dato differenze significative. Il Nord Sardegna ha mostrato la
maggiore distanza genetica con i Tunisini (Rst = 0.01385) e la minima
con il Nord est Italia (0.00091).
L’area archeologica di San Salvatore, posta in
comune di Gonnosnò (OR), occupa la sommità di una
collina denominata Mitza Santu Srabadori. Il sito ha restituito un
pozzo sacro di epoca nuragica, di pregevole fattura.
Le indagini
condotte sul terreno in occasione dell’unica campagna scavi
finora effettuata, terminata nell’aprile del 2002, hanno
consentito una prima ricostruzione delle intense fasi di
frequentazione dell’area, e collocato intorno al XIV secolo un
uso cimiteriale dell’area.
In questo lavoro si riportano i
primi risultati dell'esame antropologico degli individui inumati
attorno al pozzo sacro del sito di San Salvatore (Gonnosnò),
relativamente alla prima campagna scavi.
Gli interventi di
recupero effettuati durante lo scavo e le successive analisi di
laboratorio finora realizzate, hanno consentito la parziale
ricostruzione di 7 scheletri (1 adulto e 6 subadulti).
In entrambi
i sessi la struttura scheletrica appare robusta e con pronunciate
inserzioni muscolari. Le analisi metriche e morfologiche realizzate
sui diversi segmenti scheletrici hanno evidenziato alcune situazioni
di stress funzionale e nutrizionale.
In base alle osservazioni
preliminari sulle patologie, si è potuto verificare che due
individui presentavano tracce di iperostosi porotica di lieve entità
e tracce di esiti patologici forse riconducibili ad una malattia
infettiva.
L'individuo adulto denominato I7 e la giovane
denominata I5, presentavano episodi cariosi, tartaro e segni di
parodontopatie, indicanti scarsa igiene orale e forte stress
masticatorio.
Il presente lavoro si basa sullo studio sulla dentatura
di individui rinvenuti in diverse necropoli della Sardegna risalenti
ad un periodo compreso tra il Neolitico e il Bronzo Finale.
Allo
scopo di ricostruire il popolamento della Sardegna nei suddetti
periodi cronologici, sono stati presi in considerazione alcuni
parametri dentali: le dimensioni, la morfologia e l’incidenza
delle patologie orali.
Per quanto riguarda la metrica, sono stati
considerati i valori dei diametri mesio-distali e bucco-linguali dei
denti e il calcolo delle relative aree; per il rilevamento dei
caratteri morfologici dei denti è stato utilizzato il sistema
ASU (Arizona State University); lo studio delle patologie orali ha
considerato il rilevamento delle carie, dei difetti periapicali e
della perdita di denti intra-vitam. I diversi parametri dentali presi
in considerazione, forniscono diverse informazioni.
L’analisi
delle dimensioni dentarie indica un buon livello di omogeneità
dei campioni a partire dall’Eneolitico. I caratteri morfologici
indicano una discontinuità nelle frequenze dei caratteri nel
passaggio dall’Eneolitico al Bronzo Antico. Le patologie orali
mostrano un netto incremento delle incidenze nel periodo Eneolitico
ed una successiva brusca riduzione nei campioni del Bronzo
Antico.
Queste differenziazioni sono probabilmente da mettere in
relazione ad una prima intensificazione delle pratiche agricole
durante l’Eneolitico, seguita da una loro forte contrazione a
vantaggio di pratiche pastorali nel periodo successivo e che ha
verosimilmente modificato anche la struttura biologica dei gruppi
originari.
La modalità di trasmissione uniparentale e la conseguente assenza di ricombinazione, unita ad una elevata variabilità genetica, rendono il DNA mitocondriale (mtDNA) e la porzione non ricombinante del cromosoma Y (NRY) due sistemi genetici ideali per lo studio del popolamento umano. I polimorfismi presenti sia nel mtDNA che nella NRY sono stati estensivamente analizzati nella popolazione sarda.
Lo studio della Sardegna presenta uno speciale interesse perché la sua popolazione rappresenta un isolato genetico che presenta un’alta incidenza di molte malattie ereditarie, ed una frequenza tipica per molti alleli, che la differenzia grandemente dalla altre popolazioni europee.
Studi condotti sul mtDNA mitocondriale hanno mostrato che in Sardegna si riscontrano in elevata frequenza aplotipi appartenenti agli aplogruppi V, H1 e H3. La loro distribuzione è simile a quella dell’aplotipo NRY definito dalla mutazione M26. Sono presenti inoltre alcune linee private sia per il mtDNA (aplogruppo U5b3) che per la NRY (presenza del marcatore M18).
La popolazione sarda mostra una ricca variabilità genetica di prevalente antica origine iberica, e non sembra presentare una marcata differenziazione tra le diverse macroaree. Forze evolutive come la deriva genetica e l’inincrocio hanno contribuito a mantenere una certa eterogeneità a livello locale.
Per anni la popolazione sarda è stata oggetto di
numerosi studi nel campo dell’antropologia e della genetica di
popolazione
Le ricerche sulla struttura genetica della
popolazione sarda, realizzate con i marcatori classici e con i
polimorfismi del DNA, hanno rivelato un quadro estremamente complesso
di relazioni tra Sardi e le altre popolazioni Italiane e
mediterranee, che può essere spiegato con il passato storico e
demografico della Sardegna.
È stato riscontrato un alto
grado di eterogeneità interna che può essere attribuito
in primo luogo al forte isolamento e di conseguenza agli alti livelli
di endogamia e consanguineità, secondariamente ai fattori
selettivi legati alla malaria endemica, che ha influenzato la
distribuzione di alcune frequenze geniche.
Infine, una certa
influenza sulla storia biologica dei Sardi può essere
attribuita agli eventi demografici come la bassa densità di
popolazione e gli scarsi movimenti migratori, che hanno innescato
fenomeni di deriva genetica.
Le analisi dei marcatori genetici con
eredità uniparentale, come il DNA mitocondriale e il cromosoma
Y, hanno permesso di incrementare le conoscenza sul popolamento
dell’isola.
La Necropoli punico-romana di Pill’e Matta
(Quartucciu, CA): antropologia e archeologia.
Floris
R.(1),Angioni R.(1), Camboni D.(1), Catte A.(3), Floris G.U.(1),
Pittoni E.(3)., Salvi D.(2), Sonedda E.(3), Usai E.(3)
1
Dipartimento di Biologia Sperimentale- Università di
Cagliari
2 Soprintendenza Archeologica per le Province di Cagliari
e Oristano
3 Collaboratori esterni Dipartimento di Biologia
Sperimentale e Soprintendenza
La necropoli di Pill’e
Matta, ubicata a pochi chilometri da Cagliari in territorio di
Quartucciu, è stata messa in luce nel marzo 2000 durante i
lavori di realizzazione di una strada nell’area industriale
situata lungo l’arteria che collega la SS 554 alla SS 125.
A
partire da quella data e con alterne vicende i lavori sono proseguiti
sino ad oggi mettendo in luce 260 sepolture che coprono l’arco
temporale di circa mille anni, dal V secolo a.C. al V secolo
d.C.
Sono quindi rappresentate la fase culturale punica e quella
romana. E sono soprattutto le sepolture relative all’ultima
frequentazione, quella del IV-V secolo d.C., ad essere di particolare
interesse. La tipologia funeraria, tombe a pozzo con nicchie chiuse
da embrici, ed i caratteristici e ricchi corredi che richiamano la
cultura nordafricana e del vicino oriente danno alle “genti di
Pill’e Matta” una valenza straordinaria.
Le evidenze
archeologiche hanno portato a formulare l’ipotesi che la
popolazione in esame fosse una colonia di Sarmati condotta in
Sardegna dai conquistatori romani per migliorare la coltivazione
della vite. Questa ipotesi trova conferma nel fatto che le necropoli
cagliaritane coeve hanno caratteristiche totalmente differenti.
Per
quanto riguarda le caratteristiche paleobiologiche degli inumati il
discorso è ugualmente interessante: benché sui reperti
scheletrici di questo periodo abbiano agito pesantemente alcuni
agenti diagenetici di origine biologica è stato possibile
evidenziare peculiari caratteristiche somatometriche degli individui
esaminati e identificare alcuni casi patologici.
Questo studio analizza i livelli di As, Cd, Pb e U in un campione complessivo di 70 bambine delle Scuole medie inferiori dei Comuni sardi di Perdasdefogu e Jerzu. Il campionamento è stato effettuato nei mesi di Maggio e di Giugno del 2007. I due Comuni oggetto d’indagine presentano un diverso retroterra ambientale. Infatti il Comune di Perdasdefogu potrebbe essere esposto agli effetti dell’inquinamento ambientale a causa della vicinanza al proprio insediamento abitativo del poligono militare interforze di Quirra e di minire dimesse (es. Baccu Locci); mentre il Comune di Jerzu, essendo ubicato in un'area limitrofa presumibilmente non esposta all'inquinamento da Uranio e da altri metalli pesanti, costituisce il Comune di confronto. La determinazione quantitativa dei livelli di As, Cd, Pb ed U è stata effettuata attraverso l’analisi di campioni di diversa matrice: sangue, urina e capelli, utilizzando come strumento uno spettrometro di massa con sorgente a plasma (ICP-MS Hewlett Packard mod. 4500).
The Fiume Santo Late Miocene site has been discovered in early ‘90s
and represents the most recent documentation available of the extinct
insular fauna of the so-called Tusco-Sardinian paleo-bioprovince
(Oreopithecus Faunal Zone; cfr. Bernor et al. 2001). The site yielded
a rich assemblage of fossil vertebrates; about fifteen taxa have been
identified in the fauna including the highly derived ape
Oreopithecus, six bovids (including Maremmia and Tyrrhenotragus), the
giraffid Umbrotherium, and the suid Eumaiochoerus. The occurrence of
these taxa characterises the levels V0-V2 of the well known Tortonian
faunas (Turolian Mammal Age) from the Baccinello-Cinigiano basin in
southern Tuscany (Benvenuti et al., 2001; Hürzeler and Engesser
1976; Rook et al. 2000).
The Fiume Santo site has been discovered
thanks to excavations carried out for the constructions of a parking
area within the thermo-electric power station of the Italian State
Electricity Company (now propriety of ENDESA Italia). The
fossiliferous sediments are extending for a large area within the
industrial complex of the thermoelectric company.
Since September
2001, the University of Florence is responsible for the excavation
and study of the site and fauna.
Preliminary results on the
fossil vertebrate assemblage have been recently summarised by Rook et
al. (2006). Our podium presentation is offering a preliminary report
on the 2007 field campaign as well as an overview on the large
Oreopithecus sample from the Fiume Santo site.
The field work at
Fiumesanto has been made possible thanks to the support of the
National Geographic Society (grant #7484-03) and the RHOI program
(Berkeley University). We are deeply indebted to ENDESA Italia for
the logistic and economic support.
Benvenuti
M., Papini M., Rook L. 2001. Boll. Società Geologica Italiana,
120: 97-118.
Bernor R., Fortelius M., Rook L.
2001. Boll. Società Paleontologica Italiana, 40:
139-148
Hürzeler J., Engesser B. 1976. C.R.
Acad. Sci. Paris, sér. D, 283:
333-336.
Rook L., Renne P., Benvenuti M., Papini M. 2000. J. Human Evolution, 39: 577-582.
Rook
L., Abbazzi L., Delfino M., Gallai G., Trebini L. 2006. Sard.
Cors. et Balear. Antiq., 4: 9-17.
Il presente contributo riguarda le indagini
paleonutrizionali eseguite su un campione di 59 individui provenienti
dal sito del Bronzo Finale di Su Fraigu (Ca), nel contesto culturale
della cosiddetta civiltà Nuragica. La ricerca, condotta nel
Laboratorio di Paleonutrizione del Dipartimento di Biologia
dell’Università di Pisa, è mirata all’analisi
degli elementi in traccia tramite Spettroscopia ad Assorbimento
Atomico.
Gli elementi indagati sono stati: Calcio, Stronzio,
Magnesio, Zinco e Rame. Il Calcio, elemento maggioritario espresso in
mg/g, viene preso in considerazione in quanto costituente
fondamentale dello scheletro; la sua funzione principale è
quella di veicolare gli altri elementi al fine di standardizzare i
valori riducendo eventuali contaminanti diagenetici. Stronzio e
Magnesio indicano una dieta basata su apporti principalmente vegetali
e/o cerealicoli; Zinco e Rame indicano in prevalenza il consumo di
proteine di origine animale quali carne, latte e/o derivati. Stronzio
e Rame sono inoltre correlati all’assunzione di pesci di
piccola taglia e molluschi. I rapporti Sr/Ca e Zn/Ca nel campione
umano vengono messi a confronto con quelli di erbivori e carnivori
vissuti nello stesso sito. Questa procedura, denominata "correzione
col sito", ci permette di confrontare i nostri dati con quelli
di altri gruppi sincroni, diacronici ed eterotopici.
Gli alti
valori di Stronzio sembrano indicare un’economia
prevalentemente agricola, senza sottovalutare il ruolo svolto dalla
pesca; ipotesi quest’ultima che trova supporto nell’ubicazione
del sito e nell’importanza della navigazione nell’economia
nuragica.
I valori tendenzialmente bassi di Magnesio non indicano
necessariamente un esiguo apporto cerealicolo, in quanto questo
elemento può subire perdite sia a causa di processi
diagenetici, che in seguito a molitura dei cereali. Per meglio
valutare l’entità di eventuali fenomeni diagenetici
sarebbe necessario effettuare ed analizzare un’ampia
campionatura di terreno all’interno e all’esterno delle
sepolture.
I valori medio-alti di Zinco attestano un buon apporto
proteico, probabilmente correlato all’assunzione di prodotti
delle attività pastorali e venatorie.
Le concentrazioni
medio-basse di Rame sembrano derivare più da un consumo di
molluschi marini e/o terrestri che dall’assunzione di
particolari cibi carnei.
Il gesuita Padre Giovanni Battista Vassallo morì
nel 1775 all’età di 83 anni. Con il presente lavoro ci
si propone di confrontare la canonica stima macroscopica dell’età
biologica del soggetto al momento della morte con analisi
microscopiche qualitative e quantitative della struttura ossea e del
suo rimodellamento. Il turnover si verifica nel corso di tutta la
vita con un susseguirsi di riassorbimento di osso lamellare vecchio e
sostituzione con osso lamellare nuovo: l’equilibrio tra le due
fasi antagoniste non resta però immutato con l’avanzare
dell’età, ma subisce degli squilibri, che si traducono
in una possibilità di valutazione della senilità
dell’individuo.
Una porzione femorale e una costale sono
state disidratate in etanolo al 70% e incluse in resina Implex, un
polimero poliesterico trasparente a tre componenti. I campioni
inglobati nel cilindro di resina polimerica sono stati poi sezionati
tramite un microtomo LEITZ 1600 a lama diamantata per materiali duri.
Con alcune modifiche del protocollo di inclusione ed il fissaggio
diretto del vetrino al cilindro di resina è stato possibile
ottenere sezioni sottili fino a 20µm, nonostante il materiale
mostrasse una particolare fragilità. Le sezioni sottili sono
state visionate lungo tutta la loro area tramite un microscopio a
luce polarizzata. Le immagini di microscopia sono state trasferite su
computer utilizzando una macchina fotografica digitale ad alta
definizione, con applicazione di un reticolo micrometrico di
riferimento.
Sono state quindi eseguite analisi qualitative del
turnover osseo secondo Schutkowski, assieme ad una stima dei
Super-Osteons e dei Clusters da rimodellamento. L’età è
stata valutata a partire dalle sezioni sottili di costa con Stout e
Paine (1992): tramite il programma di analisi d’immagine Image
J si sono misurate le aree dei campi microscopici esaminati e per
ogni campo si è contato il numero di osteoni interi o
frammentari presenti, ottenendo così la DPO (densità di
popolazione osteonica) da inserire nell’algoritmo.
Relativamente alle sezioni sottili femorali, attraverso l’analisi
d’immagine si è valutato in percentuale l’areale
occupato da osteoni intatti e frammentari, utilizzando poi la formula
di Ahlquist e Damsten (1969) per una stima dell’età.
Indicazioni sull’età del soggetto sono state date anche
dall’area media dei canali haversiani e della loro densità,
calcolate rispettivamente con tecniche di morfometria computerizzata
e conteggio automatico. Le diverse metodiche applicate alla costa o
al femore hanno fornito risultati concordanti.
I dati rilevati
dalle sopraccitate analisi microscopiche hanno permesso di confermare
quanto si era già dedotto dallo studio ordinario dei reperti
ossei, pur incompleti; si è osservata infatti una
significativa corrispondenza tra le valutazioni macroscopiche,
microscopiche e l’età anagrafica del soggetto.
Durante lo scavo e la pulizia in laboratorio dei resti
ossei appartenenti alla necropoli punico romana di Pill’e matta
Quartucciu (CA), sono state individuate numerose lesioni; includono
fori rotondeggianti e di forma ellissoidale, incisioni ad andamento
irregolare.
Le lesioni sono state individuate principalmente sul
cranio e sulle ossa lunghe ma non mancano esempi sulle vertebre e
sulle ossa della mano e del piede. L’eccezionalità del
caso ha imposto un meticoloso studio sul campo che ha portato a
stabilire, con un certo grado di sicurezza, che si tratta di un
fenomeno diagenetico di origine biologica.
Le modificazioni sono
state prodotte da tre tipi di imenotteri, costruttori di gallerie,
osservati sul piano di campagna della necropoli: una specie
appartiene alla famiglia degli Sfecidi e due appartenentengono alla
superfamiglia Hymenoptera Apoidea .
In particolare, durante lo
scavo di una sepoltura è stato provato che uno degli apoidei
ha invaso l’ambiente sepolcrale e ha ,di conseguenza,
contribuito ai processi tafonomici e diageneteci.
L’attività
di ricerca in laboratorio è stata impostata attraverso la
misurazione delle lesioni presenti sui resti scheletrici di 45
sepolture.
Le caratteristiche del relativo istogramma indicano
che i fori non sono il risultato di una lesione casuale, inoltre, i
valori percentuali più frequenti trovano analogie con le
dimensioni dei fori costruiti dagli imenotteri, misurati direttamente
sul terreno della necropoli.
Le osservazioni e i risultati di
questo studio del sito archeologico in esame hanno permesso di
constatare, per la prima volta in Sardegna, il ruolo determinante
ricoperto dagli insetti, in particolare dagli imenotteri, nelle
modificazioni a discapito dello stato di conservazione dei resti
scheletrici umani.
Introduzione
Questo
studio rientra nella collaborazione in atto tra il Dipartimento di
Biologia Sperimentale, Sezione di Scienze Antropologiche, e la
Sezione di Medicina Legale e Anatomia Patologica dell'Università
degli Studi di Cagliari. Lo studio in questione verte sull’
analisi morfometrica e molecolare; cioè su caratteristiche
riguardanti le dimensioni e i tratti genetici della serie di denti
della popolazione di riferimento. Sono state eseguite analisi
biologico-molecolari e sono state esaminate le due regioni
polimorfiche del genoma mitocondriale.
Materiali
e Metodi
Il materiale esaminato proviene dal sito tardo nuragico
(800 a.C.) di Motrox’ e Bois (Usellus), una tomba dei
giganti rinvenuta nel 1957 e studiata da Maxia e altri (1963). I
reperti scheletrici sono custoditi presso il deposito del Museo Sardo
di Antropologia ed Etnografia, e tra questi sono stati individuati e
selezionati circa 500 denti isolati, che inizialmente sono stati
puliti, siglati, classificati per tipo e lateralizzati. I reperti
cosi preparati sono stati misurati tramite l’utilizzo di un
calibro digitale, con cui è stato possibile determinare il
diametro massimo vestibolo-linguale o bucco linguale(V-L) e il
diametro massimo mesio-distale (M-D). Successivamente una parte del
materiale è stato osservato microscopicamente tramite i
microscopi MS-500C Micro-Scopeman, strumenti per video-ispezione ad
alta risoluzione. L'immagine video può essere rappresentata su
una TV o un monitor, da un personal computer per una successiva
elaborazione. Utilizzando il programma di elaborazione e studio di
immagini digitali Image pro plus é stato possibile analizzare
dei particolari microscopici rilevati sulla superficie della corona e
della radice dei campioni selezionati. Alcuni denti integri, sono
stati sezionati all'altezza del colletto, tramite microtrapano, per
ottenere materiale idoneo per effettuare l'estrazione del Dna. Dal
punto di vista molecolare si è scelto di fare uno studio sul
DNA mitocondriale; in particolar modo sono state esaminate le due
regioni Hypervariable region I (HVRI) e Hypervariable II (HVRII)
contenute nella D-loop.
Risultati e Conclusioni
Il confronto tra i dati
metrici dei denti di Motrox’ e Bois, abbastanza uniformi tra
loro, con quelli di altre serie dentarie dello stesso periodo
(Cosseddu et al., 1980) ha mostrato delle differenze minime.
Differiscono alcuni denti omologhi come gli incisivi o i molari, e le
differenze sono dovute probabilmente alla variabilità degli
individui e al numero degli stessi che dovrebbe essere di circa 25
(dalla stima dello scavo del 1957), mentre nell’attuale studio
il numero dei premolari fa ipotizzare una stima più elevata
che si aggira attorno ai 35 individui. Dall’osservazione
macroscopica e microscopica emergono dei caratteri discreti o
discontinui,( 2,5 % sul totale ), come per esempio l'incisivo a pala
presente in diversi campioni. Sono state evidenziate anche anomalie
macroscopiche a carico di alcune radici. L'analisi microscopica ha
permesso di valutare il grado di usura, caratteri patologici, sia a
livello delle cuspidi sia a livello del colletto. Le tipizzazioni
molecolari hanno consentito di ottenere delle sequenze
interpretabili, che potranno essere utilizzate per accertare
l'origine genetica degli individui ai quali sono appartenuti i denti
in esame.
Sardinian populations are within the more extensively studied human groups in Anthropological Genetics. In spite of the large amount of genetic data accumulated in the last years, a remarkable number of questions about the genetic history of this population are still controversial concerning the uniformity within the Island, the degree of isolation, outer influences, etc. As a complement to the information provided by numerous studies on uniparental variation, here we present a set of autosomal genetic data that have been analysed in two population samples, one coming from the central and supposedly isolated region of the Nuoro Mountains and the other one form the coastal region of Cabras. A total of 33 genetic markers with different mutation rate were analyzed: 11 STRs, 14 SNPs, and 8 Alu polymorphisms. Some of these markers correspond to several coding regions related to haemostasis (F7, FGA, FGB, GIIIa, GIIb, PLAT, and PAI-I genes) and nitric oxide body production (NOS1, NOS2, and NOS3 genes), while the Alu insertions are scattered in non-coding autosomal regions. Allele and haplotype frequency variation pattern is consistent with a moderate degree of internal genetic differentiation within the Island that can be likely related to ancient settlements and a variable actuation of gene flow and genetic drift..
Nei paesi di cultura “occidentale” i cognomi trasmessi dal padre ai figli e conservati lungo le linee maschili sono assimilabili ad alleli di un locus del cromosoma Y altamente polimorfico.
Le disposizione ecclesiastiche del Concilio di Trento (1542-1563) decretarono l'uso obbligatorio del sistema nome e cognome per individuare le persone registrate nei Quinque Libri dei Registri parrocchiali. Inoltre dal Novecento in poi possono essere attendibilmente utilizzate anche le fonti civili e dalla fine del Novecento anche gli Elenchi telefonici. Ciò rende i cognomi particolarmente adatti per studiare dal XVII secolo in poi i processi microevolutivi delle popolazioni.
Un possibile veicolo di diffusione dei cognomi in Sardegna potrebbe essere conseguente alla transumanza lontana che ogni anno veniva effettuata seguendo dei percorsi precisi dalle zone pastorali di montagna verso le zone agricole di pianura.
Con questo lavoro si intende considerare la transumanza e suoi possibili effetti sull’instaurarsi di relazioni tra diverse popolazioni comunali grazie alla mobilità connessa con la transumanza. Vengono considerate le popolazioni comunali della Barbagia di Belvì (Aritzo, Belvì, Desulo, Gadoni e Tonara), popolazioni dell’area montuosa storicamente dedita alla pastorizia e punto di partenza della transumanza verso la pianura: di esse viene rilevata la struttura per cognomi attuale e del secolo scorso, confrontate con la distribuzione attuale in popolazioni comunali della pianura, caratterizzate da un retroterra ambientale, storico culturale ed economico diverso, ed anche distinte tra loro per un differente impatto con la transumanza, o anche per una sua completa assenza. Lo scopo è duplice: 1) evidenziare la presenza eventuale e la tipologia di relazioni tra queste differenti popolazioni comunali della Sardegna e 2) indagare se la transumanza abbia determinato una mistione rilevabile tra le popolazioni pastorali delle montagne e le popolazioni agricole della pianura.
Per tutte le popolazioni considerate (73 Comuni: 27 della Provincia di Cagliari, 29 della Provincia di Nuoro e 17 delle Provincia di Oristano) sono state utilizzate le distribuzioni dei cognomi ricavate dagli Elenchi degli abbonati al telefono nel 1993. In relazione agli scopi del lavoro le popolazioni della Barbagia di Belvì sono state caratterizzate, in termini di struttura per cognomi, anche con riferimento al secolo scorso. A questo scopo sono stati utilizzati gli Status Animarum, nei quali sono registrati appunto gli individui presenti nelle differenti parrocchie di ciascun Comune in relazione alla famiglia di appartenenza. Status Animarum per tutti e cinque i Comuni della Barbagia di Belvì sono disponibili con riferimento al 1840; anteriormente non sono disponibili anni per i quali siano contemporaneamente presenti gli Status Animarum dei cinque Comuni; abbiamo comunque esteso più indietro la nostra analisi considerando gli Status Animarum con riferimento al 1815 per i Comuni di Aritzo, Belvi e Gadoni, al 1816 per il Comune di Desulo e al 1811 per il Comune di Tonara, inoltre per il Comune di Desulo sono stati consultati anche gli Status Animarum del 1844. Allo scopo di avere dati tra loro comparabili abbiamo utilizzato i cognomi dei capifamiglia, in quanto comparabili con i titolari degli abbonamenti telefonici dei quali sono stati considerati per tutti i 73 Comuni sardi analizzati i cognomi al 1993 e per i cinque Comuni della Barbagia di Belvì anche al 1997.
Le relazioni isonimiche tra le popolazioni sono state calcolate tramite l’indice di Chen e Cavalli-Sforza (1983) e rappresentate graficamente utilizzando la tecnica statistica dello Scaling Multidimensionale non metrico (nmMDS).
Dai risultati ottenuti in questo studio in cui vengono confrontate nel tempo le relazioni isonimiche delle popolazioni dei cinque Comuni di montagna della Barbagia di Belvì (Aritzo, Belvì, Desulo, Gadoni e Tonara) si rileva una conservatività nel tempo della loro struttura cognominale, soprattutto nei Comuni di Desulo e Tonara. Cioè dei Comuni situati, rispetto agli altri tre della Barbagia di Belvì (Aritzo, Belvì, Gadoni) a maggiore altitudine e dunque maggiormente isolati.
D’altro canto le rappresentazioni (con e senza i dieci cognomi più diffusi in Sardegna), in cui viene riportata la posizione assunta dai 73 Comuni dell’Isola dai dati degli Elenchi telefonici del 1993 in base al nmMDS, suggeriscono, soprattutto quando vengano omessi i dieci cognomi più frequenti: 1) l’esistenza di una ampia similitudine tra i Comuni di pianura che si dispongono tra loro in modo indistinto rispetto alle province di appartenenza, anche se traspare dalla disposizione una tendenza alla contiguità determinata dalla collocazione geografica; 2) una netta separazione tra i Comuni di pianura (Province di Cagliari e di Oristano) e quelli di montagna (Provincia di Nuoro); 3) la presenza di differenti raggruppamenti tra i Comuni della Provincia di Nuoro conseguenti alle zone storico-geografiche di appartenenza.
Dunque, in relazione agli scopi enunciati i risultati ottenuti evidenziano che i Comuni del centro montagnoso dell’Isola presentano una conservatività nel tempo della loro struttura cognominale derivante dall’isolamento e che la mobilità dei pastori conseguente alla transumanza dal centro montagnoso verso le pianure meridionali non ha apportato un flusso dei cognomi apprezzabile verso i Comuni delle pianure meridionali o viceversa.
Le popolazioni della Sardegna sono state da sempre
oggetto di studio da parte della genetica di popolazione per via
delle loro particolari caratteristiche. I Sardi, infatti, se
confrontati con le popolazioni di tutto il mondo fanno chiaramente
parte del cluster europeo, ma si differenziano abbastanza nettamente
dalle popolazioni italiane ed europee geograficamente a loro più
vicine. Oltre a questo, le varie comunità sarde, se
confrontate l’una con l’altra, presentano una grande
differenziazione genetica. Questa peculiarità genetica dei
Sardi è sicuramente legata alla peculiarità del loro
territorio: la Sardegna è un’isola in mezzo al
Mediterraneo con molte montagne ed è quindi caratterizzata da
una condizione di forte isolamento. Questo ha fatto sì che,
fin dal primo popolamento dell’isola avvenuto circa 10.000 anni
fa, la deriva genetica agisse sia all’interno dell’isola
che rispetto al resto del continente. Abbiamo cercato quindi di
chiarire meglio i dettagli di questi processi andando a studiare
geneticamente un gruppo di antichi individui sardi della tarda Età
del Bronzo.
Da un campione iniziale di 106 denti appartenenti a 53
diversi individui di cultura nuragica, attraverso l’applicazione
dei più stringenti criteri per l’analisi del DNA antico
è stato possibile ottenere 23 sequenze di 360 paia di basi
della regione di controllo del DNA mitocondriale. Le sequenze
ottenute sono state confrontate con le sequenze corrispondenti di
popolazioni moderne europee e con quelle delle uniche altre
popolazioni pre-romane caratterizzate geneticamente, gli Etruschi e
gli Iberici.
Dall’analisi dei dati è risultato che i
campioni nuragici presentano un diversità genetica molto bassa
rispetto alle popolazioni moderne; tale valore di diversità è
paragonabile a quello degli antichi Iberici ma è molto più
basso rispetto a quello degli Etruschi. Di queste sequenze nuragiche
la maggior parte sono ancora presenti nelle popolazioni moderne
sarde, e ciò indica una continuità genealogica dall’età
del Bronzo fino ad oggi in Sardegna. Nel suo complesso la popolazione
nuragica fa parte del grande cluster delle popolazioni moderne
europee che non risulta strutturato geograficamente, ed è per
ciò difficile fare inferenze riguardo alle relazioni evolutive
fra queste popolazioni. Comunque, il basso livello di diversità
genetica nei campioni antichi rispetto alla grande differenziazione
dei campioni moderni in Sardegna sembra indicare una differenziazione
recente del pool genetico sardo per effetto della deriva genetica in
seguito all’espansione e alla successiva separazione geografica
di un piccolo gruppo di individui correlati dal punto di vista
materno.