La campagna di indagini nell’area del cortile
abbaziale di Nonantola ha preso avvio nell’estate del 2004 con
otto sondaggi in diversi punti. Il settore più esteso è
la UTS 11 (circa 250 mq) localizzata a nord-est rispetto a S.
Silvestro, a ridosso delle absidi. La stratificazione archeologica
presente in questa area si è rivelata da subito complessa,
soprattutto a causa dei numerosi interventi di spoliazione avvenuti
in età romanica. Tuttavia è stato possibile individuare
le differenti fasi relative a strutture di età altomedievali,
contraddistinte anche da elementi di pregio; tali edifici furono
probabilmente abbattuti in occasione della costruzione della nuova
fabbrica romanica (verso la metà del XII secolo) e l’intera
area subì una radicale trasformazione.
Durante questa fase
di ripristino, l’area a ridosso delle absidi venne destinata a
cimitero: la porzione meridionale del saggio ha posto in luce parte
della necropoli che si estende probabilmente in un ampio areale verso
sud. Si è potuto constatare che le inumazioni erano inserite
entro un perimetro delimitato da un fosso, oltre il quale furono
impiantate alcune strutture produttive. Sono state scavate nove
inumazioni in fossa terragna e due sepolture in cui gli inumati erano
deposti in casse con alveolo cefalico e con pareti in laterizi,
ricoperte da tegoloni ad alette rovesciate, manubriati e coppi. La
conformazione delle tombe, e soprattutto la loro posizione presso le
absidi, induce a pensare che si tratti di inumazioni ben
caratterizzate dal punto di vista sociale, in quanto, con ogni
probabilità, era questo il luogo dove alcuni dei monaci stessi
dell’abbazia venivano seppelliti. Allo stato attuale delle
indagini, comunque, possiamo supporre che la porzione di cimitero
indagata facesse parte di una più vasta area sepolcrale che
giungeva sino al lato meridionale dell’abbazia e dove, non
possiamo escludere, fossero presenti anche laici di alto tenore
sociale. L’analisi antropologica ha rivelato la presenza
esclusiva di individui di sesso maschile di età adulta,
caratterizzati da un intenso impegno ergonomico (entesopatie e
sindesmopatie) e da una alta incidenza di patologie degenerative
osteoarticolari. In un caso si è diagnosticato un importante
trauma cranico da fendente, quasi completamente riparato, e in due
casi, evidenze di infezioni tubercolari, sotto forma di nodulo
calcificato e di lesione all’epifisi distale di un femore.
INTRODUZIONE
La necropoli di Noeddale (Ossi), nota
nella letteratura archeologica dal 1952 (Chelo, 1952, 1954),è
costituita almeno da sei ipogei di grande interesse per i diversi
elementi decorativi presenti, che hanno apportato nuove conoscenze
dell’architettura domestica prenuragica. Nel 1986 una campagna
di scavi nella necropoli -diretta dal Prof. A. Moravetti- si
interessò della Tomba III, che ha restituito fra gli altri il
materiale osseo oggetto del nostro studio antropologico.
MATERIALI
E METODI
La Tomba III ha restituito circa 2000 frammenti ossei e
211 denti che sono stati restaurati e studiati utilizzando i metodi
standard della antropologica fisica (Ferembach et al., 1980). Per lo
studio paleonutrizionistico sono stati presi in esame otto elementi
particolarmente discriminanti per la paleodieta ed il controllo
diagenetico (Sr, Ba, V, Cu, Mn, Pb, Mg, Zn); per l’analisi
chimica è stata utilizzata l’Emissione Atomica-Plasma
indotto ad Alta Frequenza (ICP/AE).
RISULTATI
Il numero
minimo di individui, presenti all’interno delle 2 celle
analizzate, è pari a 63 (55 adulti e 8 giovani) e fra questi
sono stati riconosciuti 18 resti appartenenti al sesso maschile e 10
di sesso femminile. 3 individui di sesso femminile presentavano una
statura media di 152,6 cm mentre 3 individui di sesso maschile 166,05
cm.
La paleopatologia dentaria riferita all’usura interessa,
in misura maggiore o minore, 174 denti su 211 (82,5%). Gli elementi
esaminati mostrano che la maggiore percentuale di usura corrisponde
al grado II (35.5%), ma è rilevante anche la percentuale di
usura riferita al grado III (27,5%). Per quanto concerne la patologia
cariosa, solamente 5 denti nel complesso, di quelli rinvenuti
presentano segni di carie (2,4%).
Riguardo altre patologie
ossee sono state osservate due vertebre lombari con lesioni
artrosiche, caratterizzate da presenza di osteofiti, particolarmente
marcate, dovute probabilmente ad un continuo stress meccanico legato
ad intensa attività fisica. Lo studio paleonutrizionistico,
causa l’elevata diagenesi, non ha fornito indicazioni rilevanti
riguardo la dieta.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Chelo G.,
1952-54.Grotticelle funerarie artificiali nel sassarese. Studi Sardi,
XII-XIII, Cagliari,82-89.
Ferembach D.;
Schwidetzky I.; Stloukal M., 1980. Recommendations
for Age and Sex
Diagnoses of Skeletons. Journal of Human Evolution
9, 517-549.
La missione congiunta tra il ministero Deputy Ministry
of Education, Riyadh, e il Deutsche Archäologische Institut -
Orient sta svolgendo un’estesa attività di scavo e
ricerca del sito dell’oasi di Tayma. Questa è posta nel
nord ovest della penisola arabica ed è conosciuta per essere
stato un nodo importante della rotta delle vie carovaniere che
portano al sud.
Le attività di scavo delle prime sette
campagne si sono concentrate in vari punti del grande sito della
vecchia oasi, portando alla luce strutture abitative, porzioni del
grande muro che difendeva la città e strutture più
complesse che saranno l’obiettivo degli approfondimenti della
ricerca per le prossime campagne di scavo. Le varie evidenze
recuperate e le analisi radiometriche hanno permesso di determinare
che le prime fasi di occupazione dell’area risalgono al secondo
millennio prima di Cristo per svilupparsi fino all’epoca
islamica.
Al momento sono tre i ritrovamenti principali di
sepolture nell’area di Tayma, due necropoli a tumulo in pietra
rinvenute in precedenti scavi nelle località di Sanaye e di
Talah e, individuata nella campagna di scavo 2007, una necropoli con
fosse scavate nel bedrock e con una copertura in lastroni localizzata
in area 0.
Oltre a queste necropoli, nelle campagne primaverili
del 2006 e del 2007 sono state portate alla luce due tombe singole in
fossa terragna strutturata con copertura in pietra, attribuibili al
periodo islamico di occupazione del sito.
Per i dati in nostro
possesso a questo punto dell’indagine archeologica, si ipotizza
che siano sepolture sporadiche, non sembrano infatti essere parte di
una necropoli estesa.
Gli inumati sono entrambi sepolti sul lato
destro, sono orientati ovest-est in modo da essere rivolto quindi
verso sud e verso la città santa della Mecca. Gli arti
superiori sono strettamente flessi al corpo e gli inferiori sono
distesi. In entrambi i casi sono evidenti forti costrizioni
sull’appartato scheletrico che evidenziano la pratica funeraria
di avvolgere i corpi dei defunti in uno stretto sudario.
È
stata effettuata una prima analisi antropologica dell’inumato
recuperato nella campagna 2006 che ha evidenziato come l’individuo
fosse un giovane tra i 14 e i 20 anni di età, probabilmente
maschio.
Secondo le fonti documentarie, la costruzione del
complesso monastico dedicato a S. Francesco ad Imola, costituito da
una chiesa inferiore e da una superiore, dovette coprire un arco
cronologico di circa un decennio nella seconda metà del XIV
secolo; si ha notizia di sepolture all'interno della Chiesa Superiore
già dal 1374.
In concomitanza con i lavori di
ristrutturazione del Teatro Ebe Stignani, realizzato nel corso del
XIX secolo dov'era la Chiesa Superiore si è avuta l'occasione
di indagare i depositi ancora relativi all'edificio tardo medievale.
In prossimità dell'area dedicata all'altare, situata dov'è
ora il sottopalco del teatro, nei pressi dell'angolo nord-orientale
del complesso, e in corrispondenza dell'ultima campata della navata
laterale settentrionale della chiesa inferiore, è stata
indagata una situazione di particolare interesse archeologico ed
antropologico.
Dove il deposito di colmata delle volte era
maggiormente consistente, cioè nei punti angolari rispetto
all'incrocio delle campate delle crociere, esattamente tra la prima e
l’inizio dell’area absidale, parzialmente risparmiato
dagli interventi moderni, si è rinvenuta la presenza di una
deposizione multipla di individui di entrambi i sessi e di tutte le
classi di età, forse una sepoltura familiare, in parte
sconvolta per la deposizione di una cassa lignea orientata est/ovest
e ancora largamente conservata, anche se priva dell'eventuale
coperchio. Le inumazioni esterne, intaccate dalla deposizione della
bara, erano caratterizzate, specialmente nella parte superiore dei
depositi, dalla rideposizione ordinata di crani e di parti di
individui. Per le particolari condizioni deposizionali e climatiche
si sono potuti rinvenire tessuti di diverso tipo, semi, frammenti di
cordoncini, insetti e residui organici mummificati, tra cui calcoli
della cistifellea nell’addome di un soggetto di sesso
femminile. Simmetricamente, lungo il lato meridionale dell’edificio,
ma sempre nell’area dell’altare tra la prima e la seconda
campata, è stata rinvenuta un’altra deposizione in cassa
lignea, con orientamento ovest/est, che ha restituito resti
consistenti dell’abbigliamento del defunto e oggetti di adorno.
Oggi il panorama delle scienze che, in ausilio alla
Medicina Legale, sono divenute interlocutrici dell’Autorità
Giudiziaria durante le indagini si è decisamente allargato,
abbracciando settori sempre più disparati, dall’entomologia
alla chimica, dall’ingegneria alla statistica.
Tra le
discipline di più recente introduzione possono essere
annoverate l’Antropologia Identificativa e l’Archeologia
Forense.
La prima ha il compito di delineare il profilo biologico
di un individuo mediante lo studio macroscopico, microscopico,
morfologico, metrico ed autoptico delle evidenze
anatomico-scheletriche a lui pertinenti; confrontando i dati ottenuti
con quelli di più candidati, è successivamente
possibile procedere ad un’identificazione personale attribuendo
un’identità anagrafica ai resti. L’Antropologia
Identificativa può inoltre rintracciare ed analizzare esiti
patologici e traumatici pregressi o perimortali contribuendo, con
l’ausilio della Medicina Legale, alla ricostruzione della
storia sanitaria di un individuo e alle cause\modalità del
decesso
L’Archeologia Forense costituisce invece
l’importazione delle metodiche archeologiche sulla scena
criminis, in particolar ove questa si presenti sepolta, come nel caso
di corpi umani occultati. Tra queste sono di fondamentale ausilio la
ricognizione (survey) per l’individuazione dell’area e il
recupero di elementi associati, l’analisi della seriazione
stratigrafica per la datazione del contesto e la stima del tempo
intercorso dal decesso, le tecniche di recupero e ricostruzione
tafonomica dei resti umani.
L’esposizione di alcuni casi
esemplificativi illustra come l’applicazione di queste nuove
discipline al contesto giudiziario possa essere indipendente, ma che
la sinergia tra esse faccia crescere in modo esponenziale il valore
del loro contributo alle indagini, rendendo decisamente più
completo il quadro investigativo, contestualizzando i resti,
agevolandone l’identificazione e la stima del P.M.I. (Post
Mortem Interval)
Introduzione
Il sito archeologico di Polizzello
sorge su una montagna a poca distanza da Mussomeli presso
Caltanissetta. Il sito rupestre ricopre una notevole importanza nel
panorama del popolamento antico della Sicilia in quanto trattasi di
un insediamento Sicano. Il sito di Polizzello è caratterizzato
da un’ampia area sepolcrale composta da tombe “a
grotticella”.
Scopo del presente studio è quello di
ottenere dati sulla demografia e sui pattern di attività,
nonché valutare il danno cumulativo e le cause di stress
scheletrico in questa popolazione che abitava stabilmente l’area
tra il IX e il VII secolo a.C.
Materiali e metodi
I reperti
relativi a 224 individui provengono da 4 tombe a grotticella ricavate
in anfratti naturali con l’ingresso sbarrato da grosse pietre.
Una delle tombe era destinata esclusivamente all’inumazione dei
bambini.
I reperti accumulati nelle grotticelle sono stati
inizialmente attribuiti ad un numero minimo di individui; gli stessi
– quando possibile - sono stati classificati per sesso e per
età.
Risultati
Il campione è composto da 66
adulti e 158 bambini. Tra gli adulti abbiamo 30 maschi, 32 femmine e
4 indeterminati. Lo studio degli indicatori di stress scheletrici ha
messo in evidenza alterazioni a carico delle inserzioni
muscolo-tendinee in individui di entrambi i sessi. In particolar modo
si sono riscontrate notevoli lesioni a carico del cinto scapolare e
degli arti superiori, con incidenza maggiore nell’avambraccio e
a carico dell’arto inferiore, sintomatiche di molteplici
attività occupazionali.
Il 60% dei denti presenta
patologia: carie ed usura; frequente è la perdita
ante-mortem.
Nei bambini è frequente la porosità nel
cranio, a livello dello sfenoide, del parietale e nel tetto delle
orbite. Da un punto di vista antropometrico la popolazione adulta è
caratterizzata da dolicomorfia.
Conclusioni
La popolazione
descritta dimostra un’elevata mortalità infantile e una
diffusa patologia da carenza alimentare. La ratio degli adulti è
equilibrata; il pattern di attività muscolare e di patologia
scheletrica è caratteristico di una popolazione di agricoltori
e di pastori, comunque pacifici, vista la bassa frequenza di traumi e
fratture diversamente diagnostiche. Stante le caratteristiche
antropometriche ed antroposcopiche il gruppo umano di Polizzello era
presumibilmente una popolazione geneticamente uniforme: questo
sembrerebbe confortare l’ipotesi di un sito “isolato”,
compresso dall’espansione successiva di altre popolazioni.
I feromoni umani sembrano ricoprire un ruolo rilevante
nella regolazione dei rapporti sociali: in particolare sembrano
influenzare aspetti comportamentali quali la scelta del partner ed il
meccanismo di riconoscimento madre – figlio.
Lo scopo del
presente studio è comprendere, mediante un approccio
analitico, come varia il profilo feromonale della gestante durante il
corso della gravidanza al fine di verificare l’effettivo ruolo
svolto dai feromoni nell’ambito del meccanismo di
riconoscimento madre-figlio.
Il prelievo del secreto
dell’epidermide è stato effettuato, all’inizio ed
al termine della gravidanza, su un gruppo di cinque gestanti,
mediante l’utilizzo di sweat patches applicati a livello della
regione ascellare e di quella dell’areola del capezzolo per
almeno ventiquattro ore. L’identificazione e la quantificazione
relativa dei composti volatili presenti nel secreto è stata
effettuata mediante gascromatografia – spettrometria di
massa.
I risultati di questa ricerca mostrano che nel corso della
gravidanza ogni donna sviluppa un profilo feromonale caratteristico –
rappresentato da cinque composti volatili comuni ad ascella e seno
più due peculiari del seno, assenti al di fuori del periodo
gestazionale ed in aumento quantitativo nel corso del periodo –
al fine di permettere il proprio riconoscimento da parte del neonato
al momento della nascita. La differenziazione del profilo tra le
diverse gestanti suggerisce l’esistenza di un’impronta
interindividuale che servirebbe al neonato per distinguere la propria
madre.
In conclusione si può ipotizzare che il profilo
feromonale caratteristico dell’area ascellare serva al neonato
per riconoscere la madre e distinguerla da altre, mentre quello
dell’area del capezzolo per trovare la fonte del proprio
sostentamento alimentare.
Scopo del lavoro è studiare l’incidenza e
le caratteristiche dei suicidi a Parma dal 1989 al 2005 e stimarne il
rischio di morte relativo.
I dati provengono dall’ASL di
Parma che ha fornito i certificati di morte dal 1989 al 2005 e
dall’Anagrafe cittadina dalla quale sono state estratte, a
partire dal 1989, le caratteristiche della popolazione residente
all’inizio di ogni anno.
I dati sono stati trattati
attraverso una analisi logistica che pone come variabile dipendente
l’essere o meno suicida, con approccio individuale e
longitudinale esteso a 12 anni. Il modello è quello dell’Event
History Analysis.
Lo studio vuole porre in risalto come alcuni
fattori sociodemografici, in primo luogo la struttura familiare, ma
anche il sesso, l’età e il titolo di studio, possano
influenzare il rischio di suicidio. In accordo con studi precedenti
supponiamo che esistano differenze tra suicidi di uomini e donne ed
in particolare intendiamo analizzarne il rischio in relazione al
diverso ruolo familiare nella società, società inserita
in un contesto storicamente caratterizzato da ‘family stronger
ties’.
Dal 1989 al 2005 un totale di 282 suicidi sono
avvenuti nel comune di Parma, per il 74% maschi e 26%
femmine.
Tenendo sotto controllo l’età, il rischio di
suicidio appare inversamente associato alla numerosità e
complessità della famiglia: quella composta da una coppia con
figli presenta rischio di suicidio simile a quella senza figli
(categoria di riferimento); la famiglia estesa o multinucleare
presenta un rischio di suicidio inferiore del 48%, mentre le famiglie
monogenitoriali hanno un rischio di suicidio superiore del 50%
rispetto alla categoria di riferimento. Categoria più a
rischio resta però quella di coloro che vivono soli: il
rischio è circa il doppio. Scindendo per sesso e stato civile
quest’ultima categoria, si nota differenza tra maschi e
femmine. Il rischio di suicidio è molto elevato per celibi;
superiore alla categoria di riferimento è anche il rischio per
i vedovi.
In accordo con la letteratura, anche a Parma, vivere da
soli e privi di una rete familiare e sociale di supporto, soprattutto
dopo i 65 anni, accresce il rischio di suicidio, mentre avere dei
figli di cui prendersi cura (e viceversa) lo riduce.
Senza
dimenticare che la maggior parte dei suicidi è correlato a
disturbi mentali o psichiatrici, sembra che gli uomini siano
maggiormente penalizzati dalle modificazioni sociali caratterizzanti
i paesi industrializzati, nei quali la donna diviene maggiormente
indipendente, soprattutto dal punto di vista economico, dal marito il
quale invece mostra minore capacità di mantenere relazioni
familiari e proficua integrazione sociale, ruolo storicamente svolto
dalla donna.
In una società dove le cure familiari hanno
sempre prevalso su quelle formali ed istituzionali, la loro riduzione
o perdita espone ad un disagio sociale, percepito soprattutto dai
maschi, che può tradursi nell’aumento del rischio di
suicidio.
Notevole allarme ha suscitato la crescita esponenziale
dell'elettrosmog conseguente alla massiccia diffusione della
telefonia mobile (circa 50,8 milioni di cellulari presenti in Italia
a fine 2002).
I metodi epidemiologici tradizionalmente usati in
Ecologia Umana per valutare i danni ambientali hanno fornito
risultati contrastanti favoriti dal lungo tempo di latenza di molti
tumori. È sembrato perciò degno di interesse valutare
l’effetto diretto dei campi elettromagnetici ad alta frequenza
(utilizzati nella telefonia mobile) sugli spermatozoi umani, cellule
viventi non coltivate ed il cui danneggiamento può avere
implicazioni immediate e a medio termine che possono spaziare dalla
diminuzione di fertilità alle malformazioni congenite.
Il
materiale proveniente da 200 volontari è stato esposto a campi
a 900 e 1.800 MHz. I campioni sono stati esaminati dal laboratorio di
Anatomia Patologica dell'Ospedale Sant'Anna di Torino per valutare la
Motilità Spermatica prima e dopo l'esposizione.
Per ogni
campione è stata analizzato, attraverso l’utilizzo dello
S.Q.A. (Sperm Quality Analizer) il valore dell’Indice di
Motilità Spermatica (S.M.I.). Tramite microscopio ottico,
seguendo la metodologia indicata dall’OMS, si è valutata
la concentrazione nemaspermica e la motilità in tutti i suoi
gradi di espressione.
Soprattutto a 1.800 MHz vi sono differenze
significative nella motilità delle cellule più attive.
Suddividendo i campioni in base agli SMI (Sperm Mobility Index)
di partenza, è particolarmente evidente l'alterazione della
motilità spermatica nei soggetti con buona qualità di
seme (SMI 160-300) nei quali si riscontrano, fra irradiati e non,
differenze statisticamente significative non solo a carico della
mobilità generale (somma del 3°, 2° e 1), ma
soprattutto a carico della motilità di terzo grado (movimento
veloce e rettilineo).
Lo studio ha messo in evidenza che soggetti
con un buon seminale di partenza (S.M.I. 160-300), sotto l'effetto di
campi elettromagnetici a 1.800 MHz, sono più esposti ad
alterazioni della motilità spermatica.
Scavi archeologici condotti nel 2005 nella Chiesa di S.
Quirico all’Olivo a Lucca hanno portato alla scoperta di un
edificio monumentale identificato come una chiesa databile intorno al
1000 d.C.. Gli scavi hanno messo in luce diverse sepolture collocate
all’interno e all’esterno del tracciato della chiesa. In
particolare, nell’angolo Sud-Est esterno della chiesa, in
corrispondenza dell’attacco del catino absidale, è stato
rinvenuto un ossario contenente resti appartenuti prevalentemente a
bambini. L’esame antropologico ha riguardato i resti rinvenuti
in questo settore.
La prima fase dello studio ha riguardato la
ricostruzione del numero minimo di individui: vista l’impossibilità
di raggruppare gli elementi scheletrici in singoli soggetti, questo è
stato calcolato sulla base degli appaiamenti possibili delle ossa
lunghe più numerose.
L’esame dei resti cranici è
risultato essere maggiormente informativo per la diagnosi del sesso,
dell’età alla morte e l’esame di alcune
alterazioni scheletriche e dentarie riconducibili alle condizioni di
salute. Sono quindi state rilevate le principali affezioni
dentoalveolari ed alcuni indicatori di stress aspecifici
(nutrizionali o di malattia) come l’ipoplasia dello smalto e
l’iperostosi porotica. Inoltre sono state rilevate
l’osteofitosi auricolare ed eventuali alterazioni
patologiche.
Risultati
L’osso lungo maggiormente
rappresentato è il femore che ha permesso di individuare un
numero minimo di 48 soggetti subadulti e 17 adulti. L’età
alla morte dei subadulti è stata determinata sia in base
all’eruzione dentaria sia sulla base della lunghezza del femore
ed i risultati hanno mostrato che la maggior parte è morta
durante la prima infanzia, in particolare tra i 2 ed i 4 anni di età.
La distribuzione del sesso, diagnosticato in base alla morfologia
della mandibola, è piuttosto omogenea, infatti, il 46% dei
soggetti è di sesso femminile ed il 54% è di sesso
maschile.
L’esame delle affezioni dentoalveolari indica che
le frequenze percentuali di denti cariati sono simili per denti
decidui e definitivi e si aggirano attorno al 19% dei denti
osservati. Concrezioni di tartaro sono state osservate solo in 8
soggetti e la presenza e quantità aumenta con l'avanzare
dell'età. Difetti ipoplasici sono stati rinvenuti quasi
esclusivamente nei denti definitivi e suggeriscono che la maggior
parte degli episodi di stress che ha provocato l’insorgere di
ipoplasia dello smalto è avvenuta dopo la nascita. Durante il
primo anno di vita gli episodi di stress sono praticamente assenti,
mentre cominciano ad aumentare dopo il primo anno raggiungendo le
frequenze più elevate tra i 2 ed i 3 anni, dopodiché si
osserva nuovamente una diminuzione del fenomeno. L’iperostosi
porotica è diffusa in almeno metà della popolazione
adulta, mentre i subadulti mostrano frequenze più
basse.
L’esame delle affezioni dentoalveolari e degli
indicatori di stress nutrizionale e di malattia, suggeriscono che
questi individui vivevano in condizioni igieniche piuttosto scarse,
con un basso apporto nutrizionale e con una generale bassa qualità
di vita.
La ricerca è stata cofinanziata dalla Fondazione
Banca Del Monte di Lucca.
Il sito archeologico di Ferento (Vt), collocato su un pianoro tufaceo, ha restituito tracce di continuità abitativa dall'età etrusca al basso medioevo. Nell'area occidentale del pianoro, oggetto di scavo da parte dell'università della Tuscia a partire dal 1999, a ridosso della fortificazione di VI secolo AD, è stata identificata un'area a chiara destinazione cimiteriale risalente al VI - VIII secolo AD che ha restituito i resti di 148 individui inumati all'interno di un probabile edificio ecclesiastico. Lo studio osteologico e paleopatologico ha interessato 68 individui di cui il 42.6% era rappresentato da subadulti. Di questi, il 51% moriva entro i primi tre anni di vita probabilmente a seguito di gravi stati carenziali. L'età alla morte media dei soggetti adulti è stata stimata in circa 35 anni con un'elevata prevalenza del sesso femminile nella fascia compresa tra i 25 e i 35 anni. Inoltre, sono stati rilevati due casi di particolare interesse paleopatologico. Il primo caso si riferisce ad un uomo adulto maturo che presenta una grave osteomielite localizzata lungo il ramo mandibolare sinistro mentre il secondo riguarda una donna adulta il cui cranio, sull'osso frontale, presenta una perforazione di natura traumatica causata molto probabilmente da una freccia. Nonostante la gravità della ferita, l'attività riparativa dell'osso lungo la perforazione testimonia la sopravvivenza del soggetto per lungo tempo dopo il trauma.
La necropoli di Olmo di Nogara (Verona) rappresenta uno
dei più importanti contesti funerari protostorici italiani
venuti alla luce in questi ultimi anni. L'area cimiteriale è
situata lungo la sponda destra del paleoalveo della valle del Tartaro
nella pianura veneta occidentale, a pochi chilometri a sud di Verona.
Essa si estende, con orientamento NO-SE, per 400 metri di lunghezza e
per una larghezza media di 35 metri. Alla fine delle campagne di
scavo, iniziate nel 1987 e terminate nel 1995, sono state
complessivamente rinvenute 517 tombe, 61 delle quali a cremazione e
456 a inumazione. I ricchi corredi ritrovati in alcune sepolture,
consistenti in spilloni in bronzo di varia foggia, borchie in metallo
e, soprattutto, in un'ampia tipologia di spade in bronzo, hanno
permesso di datare la necropoli tra il Bronzo medio II e il Bronzo
recente (XVI - XII sec. a. C.).
L'insieme delle spade rinvenute
nelle tombe di Olmo di Nogara rappresenta una delle collezioni senza
dubbio più significative di armi ritrovate in Europa e
testimonia la presenza e l'importanza di un'élite guerriera
all'interno delle società della fase media e recente dell'età
del Bronzo. L'alto numero dei resti umani accompagnati da spada ed il
loro buono stato di conservazione consentono di ricostruire un
profilo biologico dell'armato in termini di robustezza e stato di
salute e, inoltre, di verificare il ruolo stesso della spada e cioè
se essa sia solo uno strumento offensivo o possa essere anche
considerata un indicatore di rango sociale e di potere all'interno
del gruppo.
Lo studio osteologico e paleopatologico ha evidenziato
la presenza di quattro lesioni provocate da lama metallica, tuttavia
solo due di queste (4.6%) sono sicuramente riferibili a fendenti da
spada (Tomba 405 e Tomba 475) connessi alla morte del soggetto.
Sono
state documentate, inoltre, all'interno di tutta la serie
scheletrica, tre trapanazioni del cranio, tutte riscontrate in
soggetti armati (Tomba 50, Tomba 54 e Tomba 95). Questi interventi
hanno avuto pieno successo consentendo la sopravvivenza per lungo
tempo degli individui sottoposti al trattamento. La localizzazione e
la morfologia delle trapanazioni suggeriscono che potrebbe trattarsi
di un intervento medico volto a risolvere eventuali ferite
(inflitte?) localizzate sulla volta cranica.
Infine, in due casi
(Tomba 392 e Tomba 410) sono stati riconosciuti gli esiti di due
patologie pesantemente invalidanti. Nel caso dell'adulto portatore di
spada della tomba 392 si osserva un probabile morbo di Pott a carico
di L1 ed L2 con collasso del corpo vertebrale e vistosa cifosi della
colonna; l'altro portatore di spada, proveniente dalla Tomba 410, è
interessato da un marcato accorciamento bilaterale della diafisi
dell'omero associato ad una completa distruzione bilaterale
dell'articolazione della spalla a seguito di un probabile trauma
pediatrico. La cifosi della colonna vertebrale nel primo caso e la
grave distruzione articolare nel secondo, ponevano ai due soggetti
dei limiti importanti nel combattimento suggerendo per la spada una
funzione di indicatore di status piuttosto che il consueto uso come
arma d'offesa.
Scopo del lavoro è quello di identificare e
caratterizzare i geni HOX coinvolti nell'evoluzione del cervello
umano. Le conoscenze del genoma eucariotico e lo sviluppo
dell’embriologia sperimentale hanno apportato nuovi strumenti
cognitivi allo studio della morfogenesi, fra i quali l’utilizzo
dei geni HOX. Il motivo homeobox, è stato identificato per la
prima volta come una sequenza comune a numerosi geni di Drosophila.
Lo studio degli HOX, è un aspetto essenziale non solo per
l’antropologia fisica, ma anche per gli aspetti dell’evoluzione
del cervello. Il sistema nervoso rappresenta nell’Uomo,
l’organo più complesso dell’embrione. In tutti gli
organismi viventi, sia Vertebrati che Invertebrati, neuroni di
diversa forma e funzione si organizzano fra loro per formare
connessioni specializzate, dando così vita ad una fitta rete
di comunicazione. Nello scorso decennio, sono stati identificati
diversi geni coinvolti nella sua morfogenesi. Il cervello adulto
consiste in un numero di regioni e subregioni che sono caratterizzate
da diversi tipi di cellule derivanti dal foglio neuroepiteliale
nell’embrione. Durante lo sviluppo del cervello, le regioni
distinte in questo strato di cellule sono specificate da un preciso
meccanismo che conferisce a tipi differenti di cellule l’identità
regionale adatta (Rubinstein et al., 1998; Acampora et al., 2001). Lo
sviluppo del sistema Nervoso Centrale è un complicato processo
caratterizzato da fenomeni induttivi sequenziali e coordinati che
prima specificano il neuroectoderma anteriore e poi lo suddividono
nelle aree che daranno origine al telencefalo, diencefalo e
mesencefalo. I geni Otx1 e Otx2 svolgono un ruolo primario nella
specificazione precoce, nella successiva regionalizzazione e nel
differenziamento terminale neuronale. Recenti ricerche hanno permesso
di approfondire la comprensione delle loro proprietà.
I
risultati di questa ricerca forniscono dati, utili a spiegare e
definire i loro ruoli. Otx1 deputato per la corticogenesi e sviluppo
corretto degli organi visivi e acustici; Otx2 deputato alla induzione
primaria del neuroectoderma; ambedue i geni sono cruciali nella
definizione dei territori che corrispondono al telencefalo,
diencefalo e mesencefalo. Quest’ultimo aspetto è quello
attualmente più studiato. I dati più recenti indicano
che uno dei ruoli primari dei geni Otx1 e Otx2 è quello di
controllare l’espressione di queste molecole ai centri
organizzatori primari. In questo modo i geni Otx coordinerebbero
contemporaneamente gli assi di sviluppo del cervello embrionale.
Un’alterazione di questo meccanismo determina profonde
variazioni nella struttura del cervello, nel differenziamento e nella
proliferazione neuronale (Holland et al. 2005; Simeone et al., 2006).
È quindi importante, capire come l’acquisto o la perdita
di geni Homeobox abbia cambiato drasticamente il destino evolutivo e
le caratteristiche fenotipiche dei differenti organismi. Queste
informazioni permettono dunque di spiegare i diversi passaggi
evolutivi che hanno accompagnato e contraddistinto la comparsa e lo
sviluppo del cervello negli organismi a simmetria bilaterale.
La zona circostante il Mausoleo di Teodorico, a
Ravenna, nel corso del XIX e XX secolo è stata oggetto di
numerosi scavi. Nell’ambito dei lavori per la sistemazione e la
valorizzazione dell’area intorno al monumento, nel 2004 sono
stati condotti sotto la direzione della Soprintendenza per i beni
Archeologici dell’Emilia Romagna alcuni interventi d’indagine
archeologica su vasta area. Nell’area interessata dai lavori
sono state individuate sul lato ovest del mausoleo più di 200
sepolture e un muro che probabilmente costituiva il limite
perimetrale dell’area cimiteriale. In un intervento precedente,
eseguito nell’estate del 2001, nella zona a sud del mausoleo
erano state portate alla luce numerose strutture murarie riferibili a
cinque ambienti del complesso monastico di Santa Maria ad Farum,
risalenti alla prima metà del XIV secolo.
Le fonti storiche
conosciute attestano l’esistenza del monastero già a
partire dal IX secolo.
Le tombe, prevalentemente orientate SO/NE,
non si distribuiscono omogeneamente né in maniera ordinata
nell’area di scavo; in generale si tratta di sepolture singole
scavate in fossa terragna semplice ad eccezione di due tombe
costituite da cassoni in laterizi che, in base ai risultati
dell’analisi antropologica, consideriamo sepolture familiari.
Non sono stati recuperati oggetti di corredo né elementi
riconducibili ad abbigliamento personale.
In totale sono stati
analizzati i resti recuperati in 218 sepolture; il campione risulta
costituito da 232 individui così distinti: 211 individui
adulti e 21 individui di età inferiore ai 20 anni; sono stati
conteggiati 112 maschi (53%), 65 femmine (31%) e 34 individui di
sesso indeterminato (16%).
Dall’analisi della mortalità
a classi sessuali separate emerge che il 61% della classe femminile
muore entro i 35 anni e che la percentuale più elevata di
mortalità femminile si raggiunge nella classe 30-35 anni, con
il 24% del campione.
Il gruppo maschile tende a raggiungere età
più elevate: entro i 35 anni si registra il 48% dei decessi e
la percentuale più elevata di mortalità è nella
classe 35-49 in cui si registra il 25% dei decessi.
L’analisi
preliminare dei MOS rivela una popolazione segnata da un intenso
impegno ergonomico, con patterns di attività marcatamente
distinti a seconda del sesso. Sono state riscontrate piuttosto
frequentemente patologie e indicatori di stress di varia eziologia:
patologie cosiddette “da usura” (entesopatie,
osteoartrosi), ernie di Schmorl, spondilolisi, esiti di traumi sia
sul cranio (13,7% del campione maschile e 2,6% del campione
femminile), che a carico dello scheletro post-craniale (i maschi con
una percentuale del 10,7%, le femmine con una percentuale del 6,2%),
esiti di infezioni aspecifiche e specifiche (TBC; sifilide), difetti
di ossificazione a carico delle vertebre, tracce di malattie
metaboliche (cribra orbitalia in 15 casi) e patologie dentarie.
Il concetto di sviluppo sostenibile del turismo prevede
che l’attività turistica si basi su criteri di
sostenibilità, rispetti l’ambiente nel lungo periodo,
sia economicamente praticabile nonché eticamente e socialmente
equo per le comunità locali, mentre la sua realizzazione è
diventata una priorità per le istituzioni comunitarie.
Il
progetto Inter.Eco.Tur. (Interreg Eco Turismo) nasce proprio da
questa presa di coscienza e dalla consapevolezza che le misure
connesse al turismo devono necessariamente essere concepite e attuate
attraverso uno studio a livello locale al fine di misurare necessità,
potenzialità e limitazioni specifiche esistenti in un
determinato territorio.
Inter.Eco.Tur., sottoprogetto di una OQR –
TREND (Opération Quadre Régional – Territoires et
Régions Ensemble pour le Développement Local) nata per
favorire la cooperazione regionale tra diverse Amministrazioni
Territoriali (Regione Sicilia, Regione Toscana, Isole Baleari,
Galizia e Creta), si proponeva di aumentare la sostenibilità
del settore turistico nei territori coinvolti attraverso la
promozione di strumenti innovativi di sviluppo locale specifici per
l’attività turistica.
La Coalizione Sviluppo Nebrodi,
l’Università de La Coruña, la Fondazione per lo
Sviluppo Sostenibile delle Isole Baleari, l’Organizzazione per
lo Sviluppo di Creta Occidentale e la Provincia di Lucca hanno
partecipato come partner territoriali, mentre l’Università
di Firenze e la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa come partner
tecnico-scientifici.
Al fine di elaborare un piano strategico per
la programmazione e l’implementazione sui territori coinvolti
di un modello di sviluppo sostenibile del turismo è stato
seguito un percorso che può essere suddiviso in tre fasi.
Una
prima fase durante la quale sono state portate a termine l’analisi
territoriale, lo studio di prefattibilità e la ricerca delle
potenzialità di sviluppo sostenibile del turismo nei territori
coinvolti dal progetto. Nella seconda fase sono state organizzate una
serie di conferenze sul turismo sostenibile per sensibilizzare le
comunità locali sul tema, presentare il progetto ed i
risultati preliminari delle indagini. La terza fase si è
concentrata sull’analisi comparativa fra i modelli di sviluppo
del turismo, sullo scambio di buone prassi e la valutazione
strategica delle politiche ambientali e turistiche delle regioni
coinvolte.
In conclusione sono stati elaborati i Piani Strategici
di ciascun territorio. La definizione del Piano Strategico per lo
sviluppo del turismo sostenibile è un utile strumento di
lavoro per le Pubbliche Amministrazioni da cui avviare la
programmazione di interventi in materia di turismo sostenibile.
Suddetto Piano suggerisce una serie di azioni volte a risolvere i
fattori di particolare criticità ambientale mirando così
ad aumentare la competitività e la qualità dell’offerta
turistica dei territori coinvolti ed a raggiungere una maggiore
sostenibilità del settore turistico locale.
Il materiale in esame
In
occasione dei lavori di ristrutturazione della cattedrale di Bova
Superiore (RC), sono stati intaccati i piani pavimentali e sono state
portate alla luce numerose sepolture giacenti nelle cripte
sotterranee. L’indagine archeologica, sollecitata dalla
Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Reggio Calabria e
dall’Università degli Studi di Reggio Calabria, è
stata effettuata in un secondo momento, dopo che tutto il materiale
archeologico e antropologico era già stato intaccato e
spostato dalla sua originaria posizione di giacitura.
A causa
dell’assenza di personale specializzato nella fase di
rinvenimento, il recupero del materiale è stato casuale e
disordinato. Tale metodologia, o meglio, tale assenza di metodologia,
ha comportato l’impossibilità di identificazione dei
singoli individui o di distretti scheletrici, l’individuazione
di un contesto stratigrafico, cronologico e tafonomico attendibile e,
di conseguenza, la corretta interpretazione dell’area
cimiteriale. Lo studio del materiale è stato, pertanto,
limitato alle osservazioni antropometriche e paleopatologiche sui
singoli elementi ossei.
Solo in un caso, per un’occasione
fortuita, o per una sorta di attenzione in più data dagli
operai che hanno conservato separatamente alcune ossa, è stato
possibile attribuire più elementi ossei ad un singolo
individuo di età immatura.
Considerazioni
conclusive
Lo studio antropologico ha permesso di assegnare al
bambino un’età compresa tra 7/8 anni.
Trattandosi di
un individuo di età infantile, non sono stati effettuati i
rilievi a carattere ergonomico, né tantomeno sono stati
calcolati gli indici staturali.
L’osservazione
macroscopica delle patologie e l’esame radiologico hanno
evidenziato una lesione con allargamento fusiforme dell’osso,
localizzata sotto l’epifisi prossimale e sulla metà
superiore della diafisi del femore sinistro. La corticale ossea
sovrastante appare sottile e anche lievemente espansa, ma mai
attraversata. L’esame radiologico ha evidenziato una
proliferazione multiloculare, a causa dei setti ossei posti
all’interno della parete, con presenza di piccoli granuli
calcifici, rappresentanti i calcosferiti. Non è possibile
immaginare che tale patologia possa essere stata la causa della morte
del bambino, in quanto, in base alla diagnosi effettuata, si tratta
di una cisti solitaria dell’osso. Il disturbo doveva piuttosto
essere legato al volume creato dalla massa, che con il rigonfiamento,
produceva una compressione muscolare e una compressione nervosa, con
conseguente rigidità dell’articolazione.
Sebbene al
momento non sia possibile un confronto con gli altri individui
provenienti dallo stesso sito, le indagini paleonutrizionali mostrano
valori assoluti che si discostano notevolmente dagli standard. La
quantità di Ca è molto bassa (107 ppm): anomalia che
potrebbe essere ricondotta alla patologia già descritta, che
comporta un notevole impoverimento dell’elemento da parte delle
ossa. Questa ipotesi potrebbe ulteriormente essere confermata dalla
presenza di strie di Harris su ambedue le tibie, che indicano un
arrestamento della crescita a causa di patologie insorte o
malnutrizione.
Secondo lo Statuto dell’ICOM (1951), il museo è
“un’istituzione permanente, senza fini di lucro, aperta
al pubblico, al servizio della società e del suo sviluppo, che
compie ricerche, acquisisce, conserva e, soprattutto, espone le
testimonianze dell’umanità e del suo ambiente a fini di
studio, educazione e diletto”.
Per “didattica museale”
si intende, allora, l’insieme delle tecniche, delle
metodologie, degli strumenti e delle abilità professionali che
le istituzioni museali e scolastiche utilizzano per rendere
accessibili ad un pubblico sempre più vasto, ogni genere di
esposizione culturale e scientifica.
Il D. Lgs. del 19 febbraio
2004 n. 59 offre a tutte le scuole nazionali pubbliche e private di
ogni ordine e grado delle indicazioni per i Piani di Studio
Personalizzati delle Attività Educative. Le Istituzioni
scolastiche, ottemperando agli obiettivi educativi sanciti
dall’UNESCO (1995) (imparare a conoscere, imparare a fare,
imparare a vivere con gli altri, imparare ad essere), devono
garantire il diritto personale, sociale e civile all’istruzione
e alla formazione di qualità.
È proprio nella
formazione di qualità si è inserita l’offerta
didattica, che il Museo di Storia delle Scienze Biomediche di Chieti
ha proposto alle scuole per l’anno scolastico 2006/2007,
servendo una corposa rete scolastica di 82 Scuole di ogni ordine e
grado e di 3324 studenti.
L’équipe di operatori
museali ha coinvolto attivamente studenti e insegnanti alla scoperta
della paleontologia, dell’antropologia e della paleopatologia,
affiancando alla visita guidata tout court (arricchita spesso da
mostre temporanee e da nuovi allestimenti), le attività di
laboratorio, dove insieme al desiderio di apprendere e di conoscere
cose nuove si avverte la necessità di verificare le conoscenze
già acquisite; il tutto supportato spesso dal gioco e dalla
curiosità.
Allora, ogni cosa diventa un’esperienza
unica e irripetibile: maneggiare e osservare al microscopio un
coprolite di dinosauro, antico di milioni di anni; ricomporre e
studiare i resti ossei umani, individuando età alla morte,
sesso, nonché le possibili alterazioni morfologiche delle
ossa, conseguenti a determinate patologie o attività
lavorative; analizzare dei preparati istologici; ripercorrere la
nascita del linguaggio primitivo nella comunicazione arcaica del
Teatro delle Origini, al fine di cogliere il punto di passaggio fra
Natura e Cultura.
Al termine delle attività, lo studente
impara che il museo non è soltanto il luogo della memoria e,
quindi, garanzia di stratificazione storica per il futuro, ma che
esso interagisce con lui e con il territorio e che è detentore
di una cultura specialistica, ma non per questo raffinata, elitaria
ed esigente: con grande stupore i ragazzi scoprono che i reperti veri
si possono, anzi, si devono toccare!
La gotta è una
patologia dismetabolica caratterizzata da un eccessivo livello di
acido urico nel sangue (iperuricemia). Tale condizione è
seguita da un accumulo di cristalli di urato monosodico nelle
articolazioni e nei tessuti connettivi pararticolari, a cui si
accompagnano fenomeni di infiammazione locale (Aufderheide e
Rodriguez-Martin, 1998). La patogenesi della malattia è
generalmente associata a un malfunzionamento dei reni, a una
predisposizione genetica o a un’alimentazione eccessivamente
proteica. A livello scheletrico l’accumulo dei cristalli
precedentemente descritto si traduce in precoci fenomeni
degenerativi, principalmente localizzati alle estremità e con
un maggior coinvolgimento delle piccole articolazioni. La
manifestazione più tipica è la presenza di lesioni
simmetriche di forma uncinata (tofi) determinate dalla progressiva
erosione delle porzioni metacarpo-, metatarso- e interfalangee:
queste penetrano all’interno dell’elemento colpito, pur
rimanendo separate dalla cavità midollare grazie alla presenza
di un leggero strato osseo, e sono talvolta accompagnate da aree
proliferative marginali (Aufderheide e Rodriguez-Martin,
1998).
Nonostante la gotta sia ben documentata da fonti indirette
sin dai tempi della Scuola Ippocratica, le testimonianze
paleopatologiche di tale condizione sono piuttosto scarse (Roberts e
Manchester, 1995). Il caso presentato proviene dalla Chiesa di S.
Susanna a Roma, e venne rinvenuto durante le indagini archeologiche
condotte dall’Università “La Sapienza” tra
il 1990 ed il 1992. La sepoltura, databile ai secoli VI-VII d.C.,
conteneva i resti di un individuo di sesso presumibilmente maschile e
di età avanzata, in mediocre stato di conservazione (Mallegni
e Lippi, 2005). La presenza di lesioni patognomoniche, accompagnata
da un’opportuna diagnosi differenziale, ha permesso di
identificare nella gotta l’artropatia erosiva che affliggeva il
soggetto.
Bibliografia:
Aufderheide
AC, Rodriguez-Martin C. 1998. The Cambdridge Encyclopedia of Human
Paleopathology. Cambridge University Press: Cambridge.
Mallegni
F, Lippi B. 2005. Analisi antropologica dello scheletro rinvenuto
negli scavi della chiesa di S. Susanna in Roma. In: Roma
dall’Antichità al Medioevo. Volume 2. Contesti
tardoantichi e altomedievali. Electa Mondadori, Roma:
328-341.
Roberts CA, Manchester K. 1995.
The Archaeology of Disease. 2nd edition. Cornell University Press:
Ithaca, New York.
L’isola di Lampedusa (arcipelago delle Pelagie)
tra l’Africa e la Sicilia, dopo il passaggio di Fenici, Greci,
Romani ed Arabi, rimase in attesa di nuovi abitanti fino al 1630 data
in cui Giulio Tomasi ricevette da Carlo II di Spagna il titolo di
principe di Lampedusa e Linosa. Solo intorno al 1820, dopo vari
tentativi di colonizzazione da parte di Francesi, Maltesi, Inglesi,
Russi, ed un’epidemia che decimò la popolazione
residente, i Borbone insediarono circa 500 persone di origine
siciliana (Palermo, Agrigento, Pantelleria ed Ustica). La popolazione
dell’isola è cresciuta molto rapidamente e, con circa 9
generazioni ed un’alta percentuale di endogamia, ha raggiunto i
5.500 abitanti. Per posizione geografica, storia, influenze
ambientali e culturali omogenee Lampedusa potrebbe avere i requisiti
per essere considerata un isolato genetico recente, utile per lo
studio di malattie complesse quali ad esempio l’osteoporosi.
È
stata effettuata un’accurata ricostruzione genealogica della
popolazione raccogliendo i dati storici ed anagrafici riguardanti gli
abitanti.
Il fenotipo degli individui è stato valutato
attraverso indagini anamnestiche, biochimiche e strumentali mirate a
caratterizzare la “salute dell’osso”:
- raccolta
di informazioni circa malattie personali e familiari, con particolare
attenzione a patologie legate al metabolismo minerale, terapie
farmacologiche ed abitudini e stile di vita;
- analisi
ematochimiche classiche ed analisi emato-urinarie per lo studio del
metabolismo minerale e del turnover osseo (CTX, BAP, OC, 25OHD,
ecc.);
- valutazione del body mass index (BMI);
- esami
obiettivi e strumentali specialistici: densitometria ossea lombare e
ultrasonografia ossea (SOS e BUA).
I soggetti che hanno aderito
allo studio sono stati sottoposti, previa firma di consenso
informato, ad un prelievo venoso per la creazione di una banca di DNA
e la caratterizzazione genotipica di geni candidati nella patogenesi
dell’osteoporosi.
Sono stati scelti per uno studio
preliminare di linkage disequilibrium della popolazione e di
correlazione genotipo-fenotipo i polimorfismi di “geni
candidati” nell’eziopatogenesi dell’osteoporosi:
rs17881966 (FokI) del recettore della vitamina D (VDR), rs9340799
(XbaI) e rs2234693 (PvuII) del recettore estrogenico alfa (ESR1),
rs4986938 (AluI) del recettore estrogenico beta (ESR2) ed il
microsatellite (TTTA)n nell’introne 4 dell’aromatasi
(CYP19).
È stato infine creato un database
clinico-strumentale e genetico dei soggetti per una rapida
elaborazione dei dati.
L’analisi dei genotipi ha evidenziato
un forte linkage disequilibrium per alcuni dei polimorfismi studiati
ed una significativa differenza nella distribuzione delle frequenze
alleliche rispetto alla popolazione caucasica, aspetti che
suggeriscono come l’isola di Lampedusa potrebbe essere un
isolato genetico, seppur recente, utile per studi di correlazione
fenotipo-genotipo e per una migliore conoscenza della patogenesi di
malattie complesse multigeniche e multifattoriali. Con l’aiuto
di microsatelliti e l’analisi computerizzata del pedigree
dell’aplotipo sul cromosoma Y e dell’mtDNA sarà
possibile confermare geneticamente tale ipotesi.
La Missione archeologica dell’Università
di Palermo in Siria ha in corso dal 1993 campagne di scavo a Tell
Shiyuk Tahtani, uno dei molti insediamenti antichi della Valle
dell’Eufrate, poco a sud della frontiera siro-turca.
Il
sito oggetto di studio è una piccola collina di forma
tronco-conica, alta circa 18 m, che si eleva nel cuore di una fertile
piana alluvionale, situata lungo la riva sinistra del fiume. La piana
è bagnata da un antico canale dell’Eufrate, sulla cui
sponda si sviluppa l’attuale villaggio di Shiyuk Tahtani.
Se
si eccettuano gli scarsi ritrovamenti preistorici, comprendenti
frammenti di ceramica dipinta di stile tardo Halaf e Ubaid (età
neolitica e calcolitica - ca. 5.500-3.700 a.C.), i più antichi
strati di occupazione a Shiyukh Tahtani risalgono ai primi secoli del
III millennio a.C.
A quest’epoca risalgono anche poche
tombe, le più antiche finora rinvenute nel sito. Un esempio
notevole è una sepoltura in giara contenente un inumato in
tenera età e un corredo di poche ciotole che giacevano su un
lato del corpo.
La prima parte di questo periodo, Antico Bronzo
III (2600-2400 a.C.), è piuttosto elusiva se non quasi assente
nel nostro sito. La principale struttura di questa fase è
rappresentata da uno spesso deposito di argilla rossa compatta, quasi
del tutto sterile, che si appoggia su uno dei muri più antichi
dell’Antico Bronzo I-II. Il rinvenimento di un cospicuo numero
di tombe scavate all’interno di entrambi i terrapieni, lascia
supporre che - durante la seconda metà del III millennio a C.
- tali limiti dell’insediamento fossero utilizzati come
necropoli.
Le tombe generalmente sono costituite da piccole fosse
ovali contenenti uno o più individui in posa rannicchiata.
Sono attestate anche tombe a fossa di oltre 2 m. Talora le
deposizioni infantili si distinguono per la presenza di grossi
frammenti di giara utilizzati come contenitori.
Alla fine del III
millennio il sito di Shiyukh Tahtani venne apparentemente abbandonato
per qualche tempo per cause ancora ignote. Mancano totalmente le
tracce di una violenta distruzione.
Il materiale scheletrico
umano rinvenuto sino ad oggi proviene da 57 Tombe, singole o
multiple, di diversa tipologia (fosse, pithos, etc). Lo stato di
conservazione delle ossa recuperate nelle varie campagne, molto
spesso ancora inglobate nel sedimento, è risultato
generalmente scadente, con scheletri frammentati in quasi tutti i
distretti, talvolta mischiati tra loro e con ossa di altri animali.
Pertanto, si è subito manifestata l’esigenza di operare,
oltre allo studio del materiale in questione, un corretto recupero
degli inumati rinvenuti nella campagna di scavo in corso. Al termine
del nostro lavoro erano stati recuperati i resti umani di almeno 18
individui contenuti in 14 tombe. Di queste, ne sono state studiate 10
per un totale di 14 individui, più una precedente, di
particolare interesse archeologico, contenente un adulto e un
infante.
In questa prima fase si sono privilegiati gli aspetti
paleo-demografici e adattativi, operando rilievi morfologici e
metrici funzionali alla stima del sesso e dell’età di
morte dei soggetti, della statura e dello stato di salute degli
stessi.
Lo sviluppo dell’odontoiatria durante l’epoca
imperiale è ben documentato nella letteratura latina
dell’epoca. Ma a dispetto dell’ampia documentazione
storica, non esistono ad oggi reperti archeologici che testimonino la
realizzazione delle pratiche odontotecniche in epoca romana.
Pertanto, il rinvenimento della protesi dentaria in oro qui
descritta, rappresenta l’unico caso conosciuto finora.
Durante
gli scavi archeologici condotti dalla Soprintendenza Archeologica di
Roma nella necropoli di età imperiale di Via della
Serenissima, sono stati rinvenuti i resti parzialmente cremati di una
donna adulta con una protesi dentaria nei denti anteriori
mandibolari. La sepoltura era situata al centro di un mausoleo nella
tomba in cui era stata effettuata la cremazione del corpo
(bustum).
Nonostante i danni prodotti dall’azione del fuoco,
che ha provocato la perdita di numerosi denti e l’esplosione
delle corone dei denti rimasti, quasi tutto l’arco mandibolare
è osservabile, dal terzo molare di sinistra al secondo
premolare di destra.
I denti anteriori mandibolari sono legati tra
loro da un filamento d’oro che costituisce una protesi
dentaria, allo scopo di riposizionare gli incisivi centrali andati
perduti durante il corso della vita. La protesi è costituita
da un filamento d’oro che circonda i denti anteriori ed ha la
funzione di assicurare un dente “artificiale” al posto
del primo incisivo di destra perduto in vita. Questo dente
“artificiale” è forato a livello del colletto ed
il foro è attraversato da due filamenti che vanno ad ancorarsi
agli altri denti anteriori. Il dente “artificiale” è
un dente umano e verosimilmente apparteneva alla donna stessa.
Una
forte parodontopatia che colpisce gli alveoli rappresenta
probabilmente la causa della caduta degli incisivi centrali.
Protesi
in oro databili tra il VI ed il IV sec. a.C. sono state rinvenute nel
mondo greco e tra gli etruschi, dove non mancano esempi di diversa
fattura, ma non ci risulta essere mai state ritrovate tra i romani.
Quella qui descritta rappresenta quindi la prima ed unica protesi mai
rinvenuta in epoca romana, benché le fonti storiche, non solo
mediche, spesso riportino descrizioni di protesi o strutture in oro
nella bocca dei romani.
Dalla necropoli longobarda di Trevi (Perugia), loc.
Pietrarossa proviene lo scheletro di un soggetto anziano di sesso
femminile sul cui cranio sono stati evidenziati gli esiti di due
distinti interventi di trapanazione cranica incompleta, situati quasi
simmetricamente in prossimità delle bozze parietali.
Il
presente lavoro consiste nello studio morfologico e radiologico di
tali lesioni, che ha reso possibile individuare le modalità di
esecuzione, l’evoluzione cicatriziale dei traumi sul lato
esocranico e le conseguenze patologiche sull’endocranio. Si è
inoltre effettuata la diagnosi differenziale volta ad ipotizzare le
motivazioni degli interventi.
Oltre a questi interventi
intenzionali sul cranio, si è osservato un quadro di
molteplici alterazioni traumatiche accidentali in vari distretti
scheletrici, comprendenti fratture e segni di instabilità
articolare.
Questo lavoro è finalizzato alla ricostruzione
delle modalità di allevamento e sfruttamento degli animali
domestici rinvenuti nel sito archeologico di Chiunsano (Ficarolo –
Gaiba), al fine di contribuire alla comprensione delle strategie
economiche adottate, attraverso lo studio dell’età di
morte. Il sito di Chiunsano è situato nella zona del Polesine
di Rovigo in prossimità del fiume Po. Gli scavi condotti
nell’arco di un decennio, dal 1990 al 2000, dall’équipe
del Prof. Herman Busing dell’Università di Bochum
(Germania) portarono alla luce una villa romana e confermarono
l’ipotesi di una continuità insediativa dal I al VI
secolo d.C.
Il campione analizzato è costituito dai resti
mandibolari con i denti in connessione anatomica che appartengono ai
tre taxa domestici: Sus domesticus, Bos taurus e Capra-Ovis, che nel complesso rappresentano il 61,31%
dell’insieme faunistico rinvenuto. Sono stati impiegati i
metodi che si basano sulla stima del grado di eruzione e sostituzione
dentaria e sullo stadio di usura della dentizione permanente. La
maggior parte delle mandibole ascrivibili ai tre taxa appartengono ad
individui adulti o senili, il numero di giovani è limitato. La
stima dell’età è in accordo con quanto osservato
sullo scheletro post-craniale per quel che concerne il grado di
saldatura delle epifisi delle ossa lunghe. Le mandibole di maiale e
bue con denti decidui sono scarse e la maggior parte del campione
presenta un grado di usura dentaria e mandibolare accentuato; anche i
caprovini sono rappresentati prevalentemente da individui adulti.
Inoltre, è stato possibile effettuare la distinzione tra
pecora e capra in base alle differenze morfologiche dei denti,
attestando una predominanza della pecora. La presenza di una maggiore
quantità di individui adulti e senili rispecchia, quindi,
un’economia di sussistenza basata prevalentemente sul consumo
dei prodotti secondari: lana per la produzione di tessuti ed
indumenti e latte che veniva anche lavorato per la produzione di
formaggio. I bovini erano utilizzati principalmente come forza lavoro
nei campi o per il traino e anch’essi per la produzione di
latte. Su un totale di 21 resti mandibolari solo 6 appartengono ad
individui giovani, le altre mandibole presentano uno stadio di usura
mandibolare e dentale avanzata. Il suino veniva allevato sia per
l’apporto di carne alla dieta del gruppo umano che ha abitato
la villa sia per il suo impiego nel mantenimento della pulizia dei
campi. Su un totale di 50 resti mandibolari, solo 8 sono ascrivibili
ad individui giovani. Nel sito sono presenti anche animali selvatici:
cervo, castoro, pesci, uccelli, molluschi e il cavallo ma essi
costituiscono una percentuale molto bassa dell’insieme
faunistico. Se ne deduce che, nonostante la caccia fosse una
praticata consolidata in epoca romana, non era fondamentale
nell’economia del sito di Chiunsano.
Lo studio dei reperti scheletrici umani provenienti da
contesti archeologici consente di ricavare un gran numero di
informazioni sull’identità biologica delle popolazioni
del passato, ma non solo: con un’attenta osservazione di tutte
le tracce presenti su tali “ecofatti” è possibile
risalire agli eventi inerenti alla vita dell’uomo, abitudini
alimentari, stati patologici.
Molto spesso però l’integrità
dei resti recuperati risulta gravemente compromessa e solo un
accurato intervento di restauro può restituire una visione
corretta dei caratteri antropologici e permettere perciò di
compiere misurazioni e osservazioni attendibili.
Nel poster è
presentato il lavoro di restauro, svolto presso il Laboratorio di
Archeoantropologia della Soprintendenza per i Beni Archeologici della
Toscana, compiuto su un cranio frammentato (lo splancnocranio è
andato quasi completamente distrutto); sono stati contati circa 200
frammenti di dimensioni variabili.
Durante il recupero è
stato eseguito uno stacco per cui è stato possibile eseguire
un microscavo di laboratorio documentando passo dopo passo, sia
graficamente che fotograficamente, le varie fasi in cui sono stati
messi in luce e prelevati i frammenti. Queste operazioni hanno
permesso di avere sempre a disposizione una documentazione
dettagliata della collocazione originaria dei singoli pezzi e ne
hanno facilitato l’identificazione degli attacchi al momento
della ricomposizione.
Per facilitare l’assemblaggio
inizialmente sono state ricostruite in maniera provvisoria le prime
porzioni delle regioni frontale, parietale destra e sinistra, e
occipitale; successivamente è stata individuata l’esatta
collocazione dei numerosi frammenti più piccoli e con
superfici di frattura spesso molto intaccate; in questa fase il
lavoro ha richiesto molto tempo e pazienza ma ha portato infine al
posizionamento di pezzi a volte anche più piccoli di
un’unghia.
A ricostruzione ultimata, il cranio è
risultato privo di deformazione e abbastanza completo di elementi
diagnostici.
Introduzione
Un campione scheletrico recuperato in
contrada Gorgo del Drago di Bosco della Ficuzza (Corleone, PA) è
stato sottoposto ad analisi morfometrica e microscopica, al fine di
rispondere, in prima istanza, a due quesiti dell’autorità
giudiziaria: 1) l’appartenenza dei reperti ossei ad animali o
ad uomo; 2) l’epoca di morte precedente o successiva ai 50 anni
dal presente.
Materiali e metodi
Il campione in esame
consta di 68 elementi ossei. Inizialmente si è proceduto
all’identificazione anatomica; successivamente è stato
valutato il numero minimo di individui (MNI).
In questa fase
preliminare i reperti sono stati esaminati da un punto di vista
metrico e mediante l’utilizzo dei parametri convenzionali in
relazione alla presenza degli stress biomeccanici e
patologici.
Risultati
Dopo aver accertato che le ossa
appartenevano a Homo, i reperti sono stati assegnati a 9 individui in
base alla presenza di 8 femori sinistri di adulto e di 2 elementi
dell’arto inferiore, appartenenti ad un individuo immaturo.
L’assenza di tessuti molli testimonia la completa
scheletrizzazione. I parametri suggeriti da Rodriguez e Bass (1985)
circa i tempi di decomposizione dei corpi sepolti non sono
utilizzabili per individuare l’intervallo post-mortem, in
quanto il campione in esame proviene da una sepoltura secondaria.
Il
campione nella sua globalità, mostra numerose alterazioni a
carico delle inserzioni muscolo-tendinee (entesopatie). La nostra
attenzione si è focalizzata in particolare su un femore
caratterizzato da una proliferazione ossea riconducibile a miosite
ossificante post-traumatica.
Conclusioni
Il primo recupero
e la pulitura di questo materiale sono state effettuate da non
addetti ai lavori: ciò ha compromesso la registrazione
accurata di informazioni molto importanti per l’attribuzione
delle ossa ad orizzonti antichi o a situazioni di interesse forense,
che sembrerebbe quindi obbligatoriamente legata ad un’indagine
isotopica.
Tuttavia un’approfondita analisi della biologia
scheletrica del reperto è stata di grande aiuto. Infatti,
l’insieme e la presenza generalizzata nel campione di forti
inserzioni muscolari fanno avanzare l’ipotesi che ci si trovi
di fronte a individui che sottoponevano il loro scheletro a
sovraccarichi ponderali e a sforzi molto intensi, e quindi dediti a
lavori particolarmente pesanti, oggi infrequenti. Inoltre, la
presenza di una miosite traumatica con intensa ossificazione sulla
faccia anteriore del femore, in corrispondenza dell’inserzione
del m.vasto mediale, alquanto improbabile per la sua intensità
e gravità, in un individuo contemporaneo, sembrerebbe
orientare verso l’ attribuzione dell’insieme dei reperti
a periodi ben più tardi dei 50 anni dal presente.
Rodriguez,
WC III e Bass, WM. 1985. Decomposition of Buried
Bodies and Methods That May Aid in Their Location. Journal of
Forensic Sciences, 30(3): 836-852.
Durante un soggiorno-studio nella foresta tropicale decidua situata ai piedi del vulcano Madera (isola di Ometepe, Nicaragua) sono stati rilevati dati ecologici e comportamentali su alcuni gruppi limitrofi di scimmie urlatrici dal mantello, Alouatta palliata, specie centro-americana del genere Alouatta, che è il più ampiamente diffuso tra le scimmie del Nuovo Mondo.
La ricerca è stata condotta in un’area di foresta secondaria altamente frammentata allo scopo di mettere in evidenza eventuali adattamenti comportamentali ed ecologici di questa specie ad un ambiente modificato dall’uomo.
All’interno di un’area di foresta secondaria di circa 5 ettari vari gruppi di animali sono stati osservati dall’alba al tramonto. Per la rilevazione dei dati comportamentali sono stati usati: Instantaneous Time Sampling, Scan Animal Sampling, All Occurrences Sampling, Ad Libitum Sampling. Per la rilevazione delle vocalizzazioni è stato usato un registratore vocale. Gli alberi di feeding e di resting sono stati marcati e successivamente localizzati tramite un GPS. Per ciascun albero si è identificata la specie, sono state valutate alcune misure dendrometriche e raccolto un campione di frutti o foglie mangiate dalle scimmie per successive analisi nutrizionali. Dati abiotici sono stati registrati mediante una stazione meteorologica portatile (temperatura e umidità) ed un luxometro (luminosità).
Sono state studiate le posture di resting per valutare l’esistenza di termoregolazione comportamentale. E’ stato osservato in maniera analitica il comportamento alimentare, in modo da verificare l’esistenza di eventuali differenze tra categorie di età-sesso. Sono state registrate le vocalizzazioni allo scopo di analizzarne le frequenze giornaliere, il contesto, e di individuare possibili fattori prossimi tra le variabili abiotiche. Infine, la caratterizzazione delle risorse di feeding e di resting è stata effettuata allo scopo di evidenziare la relazione tra la dimensione dei gruppi e la dimensione e distribuzione delle risorse. I risultati ottenuti sono stati comparati con altri studi su Alouatta palliata condotti in aree di foresta primaria.
Gli isotopi stabili di carbonio e azoto stanno
diventando strumenti importanti per documentare la nutrizione delle
popolazioni del passato. Presentiamo in questa sede i primi risultati
e interpretazioni relativi a 38 individui i cui resti sono stati
rinvenuti nella Sardegna del Sudovest. Questi costituiscono una parte
di un ampio progetto indirizzato alla ricostruzione dell’economia
e del clima nella Sardegna preistorica, con una prospettiva isotopica
e olistica, di integrazione delle varie categorie di informazione.
L’affidabilità dell’attribuzione culturale in base
alla cultura materiale è stata verificata tramite
radiocarbonio AMS, e in alcuni casi corretta. L’analisi del
minerale oltre che il collagene del tessuto osseo ha consentito di
triangolare le caratteristiche della dieta in modo migliore di quanto
non permetta l’uso del solo collagene. Inoltre, le misurazioni
dell’azoto sono state corrette per la differenza nelle
precipitazioni annue nei diversi siti, il cui effetto è stato
chiaramente suggerito da alcuni studi.
Fatte queste premesse, il
campione di individui neolitici di San Benedetto (ca. 4000-3500
a.C.), denota un’alimentazione mista a base animale e vegetale.
I pochi individui campionati provenienti dai due siti calcolitici di
Cannas di Sotto (ca. 3400-3000 a.C.) e Sedda de Daga (ca. 2900-2400
a.C.) mostrano un’alimentazione basata più su prodotti
vegetali che animali, contrariamente a quanto ipotizzato per questa
fase culturale, considerata tradizionalmente pastorale, in
opposizione all’economia neolitica, comunemente ritenuta
agricola. Ciò ha importanti conseguenze nella ridefinizione
dei modelli economici e sociali utilizzati per interpretare i
cambiamenti del record archeologico.
Il sito del bronzo antico di
Concali Corongiu Acca (ca. 2250-1950 a.C.), invece, insieme ai pochi
individui medievali sepolti a Montessu, riflette una nutrizione in
cui carne e/o latte erano più importanti. Ciò può
essere indizio di un’economia più pastorale, anche se il
campione medievale (una data AMS: 888-1151 d.C., 2 sigma) potrebbe
avere fatto uso consistente di grassi di origine porcina, cosa che è
compatibile con una economia agricola sedentaria. Alti valori di
delta-azoto-15 sono stati documentati ripetutamente nel medioevo in
Europa continentale e in Inghilterra. Infine, l’unico individuo
del bronzo medio mostra la dieta più contadina riscontrata tra
i gruppi.
A parte il margine di incertezza nella valutazione delle
condizioni dei tessuti ossei e nell’interpretazione dei valori,
il numero limitato dei campioni e la loro considerevole distanza
temporale consiglia di considerare tali risultati importanti ma
soltanto preliminari, in attesa di campionamenti più ampi, che
consentiranno anche di documentare differenze dietetiche tra
sottogruppi definiti in base a età, sesso, condizioni di
salute. Ciò permetterà di avere informazioni anche sui
riflessi alimentari di trasformazioni sociali, organizzative e di
gender.
L’esistenza di manufatti litici del Paleolitico
inferiore e medio in Abruzzo venne segnalata da numerosi A.A. Le
prime notizie sul rinvenimento di industria litica lungo il fiume
Foro si devono ad Antonio De Nino il quale già nel 189
“segnalava la presenza, nella località di Santo Stefano
al Foro, di industria su scheggia simile a quella di Madonna del
Freddo”
Il prof. Adriano Antonucci durante le sue escursioni
lungo il litorale circostante la foce del fiume Foro ha rinvenuto un
ingente numero di strumenti litici e di schegge di selce che mostrano
tracce di lavorazione umana.
La possibilità di suddividere
i manufatti litici in base a caratteri metrici può fornire
informazioni concrete ed utili nel caratterizzare un’industria.
Lo studio degli strumenti litici può essere condotto sotto due
visuali parallele: da un lato tenendo presente la tipologia delle
varie classi di manufatti per mettere in evidenza la loro evoluzione
nel tempo; dall’altro considerando l’aspetto tipometrico
dei manufatti stessi per individuare le modificazioni della
litotecnica della tipologia.
Gli autori presentano i risultati
dell’analisi tipometria e tipologica dei manufatti litici della
“Collezione Antonucci” raccolti nei pressi della foce del
fiume Foro.
Gli oggetti sono ricavati da selci di vario colore e
tutti presentano segni più o meno importanti di fluitazione.
Questa alterazione chiaramente visibile dallo smussamento e
arrotondamento degli spigoli, ha posto dei limiti allo studio
tipologico. Infatti, un buon numero di oggetti presenta segni di
scheggiatura d’urto, sovrapposta al ritocco vero e proprio, che
ha asportato la parte esterna del margine, determinando un profilo
asimmetrico a scalino.
I manufatti litici presentano: una faccia
ventrale, quella di distacco dal blocco del materiale grezzo,
caratterizzata dal cono e dal bulbo di percussione; una faccia
dorsale, quella opposta alla precedente; un tallone, formato dal
piano di percussione sul quale vengono inferti i colpi.
Particolare
attenzione è stata posta all’esame dei piani di
percussione che ha permesso di separare le schegge con piano di
percussione liscio ed inclinato, da quelle con piano di percussione
preparato.
Molti oggetti sono fortemente alterati in seguito
all’azione erosiva del mare per cui è impossibile
qualunque indagine.
Tutto il materiale reperito dal prof. Adriano
Antonucci è stato donato al Museo di Storia delle Scienze
Biomediche di Chieti.
I percorsi avvicinano gli studenti al mondo del Teatro Primitivo considerando quelli che sono, dal punto di vista etnologico, i popoli raccoglitori e cacciatori dello stadio inferiore.
L’impulso all’imitazione è uno dei più antichi dell’umanità: l’esplorazione a ritroso, per ricercare il valore originario dei suoi “segni”, è un viaggio che tende a convergere sulle radici del passaggio da Natura a Cultura.
Gli studenti vengono introdotti ad un nuovo campo di studi applicato all’uomo che utilizza la propria presenza fisica e mentale, espressione della vita quotidiana, per proiettarle in una situazione di “rappresentazione organizzata”.
Introduzione: la Prima Guerra Mondiale costituisce una tragedia umana che ha portato alla morte di milioni di soldati in tutto il mondo. L’Italia ha visto sul fronte alpino il principale teatro di guerra. Prima di quest’indagine i resti scheletrici dei soldati venivano rinvenuti casualmente e recuperati senza nessun criterio archeologico, quindi riposti negli ossari nel più assoluto anonimato. Dal 2006, in seguito ai primi promettenti risultati è partito un progetto multidisciplinare approvato e finanziato dalla Provincia di Vicenza per il recupero e lo studio dei soldati della Grande Guerra; ciò ha permesso di fondere competenze appartenenti a discipline diverse (archeologia, genetica, entomologia forense, ecc...) con recuperi di alto livello informativo, tanto da arrivare, in un caso, alla parziale identificazione del caduto.
Materiali e metodi: lo studio, avviato su ossa commiste di 19 individui recuperate dalle forze dell’ordine (senza alcuna metodologia archeologica), è stato ampliato nel corso del progetto attraverso interventi sul campo col recupero diretto dei resti mediante scavo archeologico, inizialmente a seguito di segnalazione e primo intervento dei cercatori di cimeli, e solo recentemente prima di qualunque azione di terzi.
Per quanto concerne l’aspetto strettamente antropologico si è proceduto all’attribuzione di un profilo biologico ai resti scheletrici (sesso, età, statura, tipologia etnica, patologie pregresse), all’individuazione di lesività perimortale (e se possibile delle cause di morte), sono stati raccolti dati per fornire un quadro demografico della popolazione militare e, infine, sono stati raccolti più elementi possibili (antropologici e di corredo) per identificare i singoli caduti.
Risultati: lo studio ha rivelato la presenza di uomini adulti ma anche di adolescenti tra i sedici ed i diciotto anni, i soggetti sono di provenienza mediterranea e nordica e con diverso stato sociale: molti scheletri presentavano malattie di tipo degenerativo (artrosi, artrite reumatoide), infettivo (tubercolosi) e da “usura” verosimilmente occupazionale ma anche, in alcuni casi, lavori odontoiatrici sicuramente onerosi per gli standard dell’epoca. Sono state poi studiate lesioni perimortali riconducibili a traumi di natura contusiva, a seguito di esplosione o per ferite penetranti da proiettili o schegge. Un altro risultato lo si è raggiunto a livello “procedurale”: stabilendo un protocollo operativo si è ottenuto il passaggio da studio antropologico su ossa commiste, non accompagnate da corredo e di cui si erano perse tutte le informazioni utili, a studio antropologico su individui singoli in un contesto ben definito, con scavi archeologici accurati. Conclusioni: l’indagine qui presentata ha permesso lo studio antropologico di 33 individui e l’identificazione di un soldato. Si è inoltre evidenziata la priorità del problema del corretto recupero dei resti scheletrici, trattandosi di materiale osseo che da un lato può essere considerato archeologico, ma, dall’altro, presenta caratteri strettamente legati all’ambito forense.
Introduction
Recently, molecular data
have led to a radical revision of the traditional taxonomy and
phylogeny of platyrrhines. Molecular dating puts the
platyrrhine/catarrhine split at circa 40 million years ago (mya), but
crown platyrrhines diverged only over the last 20 million years. This
radiation produced numerous species with a wide range of
morphological, ecological and ethological adaptations. The molecular
phylogeny divides the platyrrhines into three families: Atelidae,
Cebidae, and Pithecidae. The new family Cebidae is the most
controversial grouping tamarins, marmosets, capuchin, squirrel and
owl monkeys together. Comparative molecular cytogenetics represent an
independent phylogenomic database for clarifying New World primate
evolution.
Here we examine this new hypothesis of platyrrhine
evolutionary relationships by reciprocal chromosome painting after
chromosome flow sorting of species belonging to four genera of
platyrrhines included in the Cebidae family: Callithrix argentata,
Cebuella pygmaea, Callimico goeldii and Saimiri sciureus.
Results
The paints made from chromosome flow sorting of
the four platyrrhine monkeys provided from 42 to 45 hybridization
signals on human metaphases. The reciprocal painting of monkey probes
on human chromosomes revealed that 21 breakpoints are common to all
four studied species. There are only three additional breakpoints. A
breakpoint on human chromosome 13 was found in Callithrix argentata,
Cebuella pygmaea and Callimico goeldii, but not in Saimiri sciureus.
The others two additional breakpoints are on human chromosome 5: one
is specific to squirrel monkeys, and the other to Goeldi’s
marmoset.
Discussion
The reciprocal painting results, in
general, support the molecular genomic assemblage of Cebidae. We
demonstrated that the five chromosome associations previously
hypothesized to phylogenetically link tamarins and marmosets are
homologous and represent derived chromosome rearrangements, which
occurred in a common ancestor. Four of these derived homologous
associations tightly nest Callimico goeldii with marmosets. One
derived association 2/15 may place squirrel monkeys within the
Cebidae assemblage. An apparently common breakpoint on chromosome
5q33 found in both Saimiri and Aotus nancymaae could be evidence of a
phylogenetic link between these species. A comparison of our
reciprocal painting with that available in the literature shows that
many syntenic associations found in platyrrhines have the same
breakpoints and are homologous, derived rearrangements. Therefore,
the reciprocal chromosome painting shows that the New World monkeys
are a closely related group of species. Our data support the
hypothesis that the ancestral karyotype of the Platyrrhini has a
diploid number of 2n=54 and is almost identical to that found today
in capuchin monkeys therefore congruent with a basal position of the
Cebidae among platyrrhine families.
La ricerca intende esaminare la relazione tra
comportamento alimentare, patologie, struttura genetica e ritmi di
invecchiamento in comunità rurali isolate.
Grazie alle
loro caratteristiche ambientali e demografiche, le popolazioni rurali
rappresentano un campione valido per valutare l’influenza dei
diversi fattori sui processi di invecchiamento e sullo stato di
salute. Queste popolazioni, rese in passato omogenee al loro interno
per l’alto grado di endogamia e isolamento geografico, stanno
perdendo le loro più peculiari caratteristiche per effetto
dell’evolversi delle vie di comunicazione e quindi della
rottura dell’isolato e dello spopolamento.
Lo studio prende
in considerazione le popolazioni delle Alpi occidentali: Vallouise
(Briançonnais, Francia), Giaglione e Venaus (Val di Susa,
Torino) . Il campione è stato scelto in modo da garantire
l’origine nelle comunità da almeno tre generazioni.
Sono stati presi in considerazione i seguenti aspetti: l’analisi
biodemografica per la valutazione dell’indice di vecchiaia e la
ricostruzione delle genealogie per analizzare la struttura famigliare
e valutare l’eventuale esistenza di famigliarità della
longevità; l’analisi del comportamento alimentare
tramite questionari; l’analisi di alcuni caratteri biochimici e
del BMI; lo studio di alcuni polimorfismi genetici al fine di
caratterizzare geneticamente le popolazioni.
I risultati di
questo studio hanno evidenziato un progressivo aumento delle persone
anziane, soprattutto donne, come risulta dall’evoluzione della
struttura demografica e dei parametri considerati (indici di
vecchiaia, indici di dipendenza strutturale degli anziani e la
percentuale delle persone di età superiore a 65 e a 75
anni.).
Dall’esame dei questionari è emerso che la
quasi totalità degli intervistati ha cercato di mantenere le
abitudini proprie della cucina locale. L’apporto calorico e la
dieta sono equilibrati infatti non si sono riscontrate carenze
nutrizionali. Il loro stato di salute è buono: non sono state
riscontrate malattie metaboliche né fattori di rischio quali
ipertensione e ipercolesterolemia.
Dalla valutazione della
famigliarità della longevità desunta dall’analisi
degli alberi genealogici è risultato che l’età
alla morte, nel 47,64% degli antenati superava gli 80 anni di età
a dimostrazione di una certa famigliarità della longevità.
Per
quanto riguarda l’analisi delle sieroproteine Gc, C3 e Bf le
comunità esaminate presentano frequenze alleliche che si
discostano in modo significativo dalla media europea.
Probabilmente
i risultati ottenuti potrebbero essere interpretati come effetto
dell’isolamento e di un flusso genico locale, molto limitato.
L’analisi della distanza genetica tra le comunità in
esame e le altre popolazioni è risultata rilevante per
Giaglione e in modo particolare per la Vallouise indicando come
questi piccoli paesi possano essere considerati isolati genetici.
La
valutazione della relazione tra struttura genetica, alimentazione e
malattie rientra nei programmi di miglioramento della salute e degli
osservatori epidemiologici, i risultati della ricerca potranno
trovare un’applicazione pratica nei programmi di interventi
preventivi.
I resti scheletrici umani oggetto del presente studio sono stati rinvenuti presso Partanna (Trapani). I reperti sono stati rinvenuti nella Tomba di “Pergole 2”, scavata nel periodo compreso tra il 21 e il 29 maggio 2006. Durante lo scavo sono stati recuperati oltre 600 reperti ossei umani, più o meno frammentati. Le non buone condizioni di conservazione hanno reso difficoltoso lo studio antropologico. Inoltre sono andati distrutti tutti quegli elementi dello scheletro caratterizzati da minore resistenza meccanica e robustezza. In generale sono maggiormente rappresentate, seppur in stato a volte estremamente frammentario, le ossa degli arti superiori e inferiori e 15 crani frammentari. Non è stato possibile individuare per molti reperti con esattezza il sesso, l’età alla morte ed eventuali patologie. La posizione delle ossa, ricavabile dalla documentazione fotografica e grafica, suggeriscono una serie di inumazioni con rituale anche complesso e diversificato. Si evidenziano sicuramente due individui in giacitura primaria in spazio vuoto (US 13 e US 14) e altre due con connessioni parzialmente conservate (US 8 e US 10). Il recupero di tutti gli elementi ossei presenti nella tomba ha permesso di calcolare il numero minimo di individui, che è stato effettuato sui crani e confermato dal numero delle ossa degli arti inferiori. Si è stimata la presenza nella tomba di almeno 20 individui. Sono state individuate alcune ossa di un neonato e di almeno due bambini di circa 5 anni. Gli altri individui sono comunque morti in giovane età, come si evince dalle suture craniche ancora evidenti di tutti i reperti e dal basso grado di usura dei denti rinvenuti. In alcuni casi è stato possibile determinare il sesso degli inumati (8-10 individui femminili e 5 maschili).
Lo scavo d’urgenza di una piccola tomba a grotticella integra della Prima età del Bronzo nel territorio di Canicattì (AG), ha dato l’opportunità di integrare i dati archeologici con i dati antropologici che, nonostante le cattive condizioni dei resti scheletrici, hanno fornito degli elementi utili alla lettura del rituale funerario. La piccola tomba conteneva i resti di almeno 20 individui (sono stati recuperati oltre 200 denti), deposti in due strati. Nel primo erano i resti di due giovani individui, cui probabilmente appartiene il corredo costituito da tre tazze castellucciane, un anellino e un tubetto d’osso forato; nel secondo strato si trovavano i resti degli altri individui, non in connessione anatomica. Il numero minimo degli individui è stato calcolato sia sui denti che sulle ossa lunghe con una determinazione abbastanza precisa delle classi di età: cinque bambini di 0-5 anni; quattro di 5-10 anni; sei da 10 a 15 anni e cinque da 15 a 20 anni. Un dato indicativo è la presenza delle ossa dei diversi distretti scheletrici, a differenza di altri siti siciliani più o meno coevi, come ad esempio la necropoli della grotta Ticchiara (dove è quasi assente il distretto delle estremità superiori) o della stipe del Ciavolaro (dove manca completamente il distretto toracico). Questo indica che non venivano praticati rituali funerari particolari, come il frazionamento dei resti scheletrici ma, in occasione delle nuove inumazioni, gli scheletri venivano semplicemente spostati. La manipolazione delle ossa è comunque evidente nella posizione di alcune ossa lunghe, che risultano sistemate su due file. Si è rilevato che molti frammenti di omero di bambini tra 10 e 15 anni presentano forti inserzioni muscolari vicino l’epifisi distale: questo elemento fa ipotizzare che questi individui erano impegnati in attività che prevedevano l’uso costante degli arti superiori, che possiamo individuare in lavori agricoli. Lo studio degli arti inferiori invece, pertinenti a giovani fra i 15 e i 20 anni, ha rilevato che i femori presentano una linea aspra molto sviluppata, indice di una attività motoria molto importante, probabilmente legata alla pastorizia. Nessun frammento presenta i caratteri tipici di deficit nutrizionale e anche i denti non si presentano particolarmente usurati. Lo studio antropologico ha rivelato quindi che il gruppo umano di contrada Graziani era di costituzione molto robusta, sottoposto però a stress ambientali importanti, individuati nel pesante lavoro dell’agricoltura e della pastorizia. Si tratta pertanto di una tomba collettiva con continuità di deposizioni dove le ossa sono state oggetto di manipolazione. L’evidenza archeologica restituisce una sequenza così articolata: deposizione primaria; accantonamento delle ossa non selezionate in occasione di nuove sepolture, atti verisimilmente accompagnati da cerimonie periodiche. La giovane età di tutti gli individui, indica che l’accesso alla tomba, continuato nel tempo, fosse sempre selettivo in base alla classe di età, anche se al momento non è possibile stabilire se su base familiare.
Lo studio dei reperti osteologici umani relativi al
sito romano tardo antico (II-V sec. d.C.) di S. Cassiano in Riva del
Garda è nato da un progetto di archeologia globale patrocinato
dalla Soprintendenza Archeologica di Trento.
Il sito, nel quale
sulle fasi romane si impostano fasi altomedievali e medievali,
risulta un unicum nell’ambito trentino, sia per l’estensione
(5000m²), che per la ricchezza dei corredi relativi ad alcune
sepolture romane, senza pari in tutto il territorio.
Le fasi
romane hanno restituito i resti di 56 strutture tombali, delle quali
17 ad inumazione e 39 ad incinerazione. Le analisi antropologiche
sono state incrociate con quelle sui reperti faunistici provenienti
dalle offerte funebri, allo scopo di fare luce su quello che era il
rituale funerario. Effettivamente, le analisi hanno confermato ciò
che le fonti antiche indicavano: un’accurata disamina dei
frammenti ossei provenienti dalle incinerazioni ha comprovato la
pratica dell’ossilegium, cioè della scelta dei frammenti
ossei del defunto portati dal luogo dell’ustrinum (la pira dove
esso era stato combusto) a quello della sepoltura vera e propria. In
generale, sembrerebbe che il fattore discriminante fosse la
dimensione dei frammenti raccolti; si sono però rilevate
alcune eccezioni determinate da scelte rituali. La valutazione della
temperatura di combustione, basata su più scale di
colorazione, ha dato gli stessi risultati sia per i resti osteologici
umani che per quelli animali (600-1000°C), avvalorando il fatto
che essi fossero stati combusti contemporaneamente. Estremamente
interessante è risultata l’analisi delle entesi relativa
sia al campione di inumati sia, dove possibile, a quello dei cremati.
Infatti il gruppo umano in questione mostrava arti inferiori
inaspettatamente poco sviluppati. Molto meglio definite e ricche di
interesse erano invece le fasce muscolari relative agli arti
superiori: i movimenti che sembrano essere stati compiuti più
volte in vita sono quelli di abduzione, flessione e rotazione mediale
dell’omero, uniti a rotazioni dell’arto. A questi ampi
movimenti del braccio si aggiungevano altri movimenti
dell’avambraccio, come la flessione del gomito e la supinazione
dell’avambraccio. A tutto ciò si aggiunga un medio-forte
sviluppo di flessori ed estensori delle dita, unito a ripetuti
segnali di adduzione del pollice ed a una elevata incidenza di
artrosi a livello carpale e delle ultime falangi della mano. È
evidente e diffuso un particolare pattern di usura extramasticatoria,
comprendente solchi interprossimali e scheggiature a danno dei denti
anteriori, che fa ipotizzare una comunità di artigiani, in
particolare di sarti e tessitori. A conferma di questo fatto sono gli
stilo e gli aghi ritrovati nel 20% delle tombe, e le fonti antiche
che documentano come la limitrofa area del bresciano fosse famosa per
la produzione dei tessuti in lana: non sembra essere un caso, quindi,
che i caprovini costituiscano ben il 36% della fauna rinvenuta sul
sito. Il caso di S.Cassiano è un esempio di come più
discipline abbiano contribuito a far luce su soggetti di interesse
storico, e la ricerca verrà in futuro estesa alle fasi
paleocristiane e medievali.
L’indagine archeologica condotta nel castello di
Formigine (MO) ha riportato alla luce la chiesa di San Bartolomeo,
ricordata dalle cronache fino al XVI secolo, e un ampio cimitero che
la circondava. L’area cimiteriale, databile nella sua fase più
recente tra il XIII e l’inizio del XVI secolo e a circa
l’XI-XII secolo nella sua fase più antica, ha restituito
più di 250 sepolture, che costituiscono un campione
estremamente rappresentativo della comunità medievale
formiginese.
Gli abitanti del villaggio usarono in maniera
intensiva lo spazio destinato alle sepolture, come si rileva non solo
dall’elevato numero di tombe rinvenute, ma anche dalla loro
frequente sovrapposizione e dai conseguenti tagli e riduzioni delle
sepolture più antiche.
Le sepolture sono principalmente
singole, inumazioni scavate nella nuda terra, nella fase
basso-medievale, mentre in quella più antica si sono rinvenute
tombe strutturate, a cassone di laterizi e pietre con copertura sia
di laterizi disposti di piatto che alla cappuccina.
In entrambe
le fasi cimiteriali si sono rinvenute sepolture di donne incinte con
il feto pressoché a termine: T. 222 e T. 244 rispettivamente.
Nella prima, in peggiori condizioni di conservazione, possiamo
osservare come il feto presentasse una posizione obliqua nell’utero
materno, con i femori situati tra il coxale destro e l’ultima
vertebra sacrale della madre.
La seconda, in cassone di laterizi
con copertura alla cappuccina, ha restituito le ossa fetali in parte
conservate nella cavità addominale, in parte disperse sopra il
torace della madre, probabilmente a causa di fattori tafonomici. La
posizione del feto in questo caso vede il cranio situato tra le due
sinfisi pubiche e il femore rimasto in situ poggiante sull’ala
iliaca destra della madre.
Gli Autori descrivono un caso di cisti da echinococco
rinvenuta nel corso dello studio antropologico degli individui
scheletrici risalenti ai primi anni del ‘900 e provenienti
dallo svuotamento di una fossa di sepoltura al di sotto del pavimento
della Chiesa di Santa Maddalena a Castel di Sangro (L’Aquila).
In
tale circostanza è stato rinvenuto un guscio calcifico,
ovoidale, cavo, svuotato del proprio contenuto, a parete calcifica,
del diametro massimo di 7 cm, senza connessione anatomica con gli
altri resti scheletrici e senza riferimenti topografici.
Lo
spessore della parete varia da un minimo di circa 1 mm ad un massimo
di circa 3 mm. La superficie esterna è in parte liscia, in
parte irregolarmente granulata. La parete presenta soluzioni di
continuo del diametro massimo di cm 2 nel punto di minore spessore a
margini frastagliati attraverso le quali si può osservare la
superficie interna che presenta aree lisce che si alternano ad aree
lievemente rilevate, irregolari.
Sul reperto, oltre all’esame
radiografico, sono state condotte analisi micromorfologiche al
microscopio ottico a luce riflessa e trasmessa e al microscopio
elettronico a scansione. È stato inoltre effettuato uno studio
semiquantitativo degli elementi chimici presenti nella parete,
utilizzando una sonda microanalitica collegata al SEM.
Lo studio
del reperto pone un problema di diagnosi differenziale con esiti
calcifici tubercolari, calcoli, diverticoli calcifici, cisti
ovariche, leiomiomi uterini e tumori calcifici.
Gli autori
comparano questo reperto con reperti consimili descritti in
letteratura paleopatologica, che sono comunque scarsi.
Sebbene non
sia possibile formulare una diagnosi certa, l’ipotesi più
probabile è che si tratti di una “Cisti da Echinococco”.
Nel corso degli scavi effettuati presso l'ex convento di San Francesco (Conegliano, Treviso), realizzato in più fasi a partire dal XIV secolo fino al XVI secolo A.D., è stato rinvenuto un ampio complesso sepolcrale in cui sono stati identificati 185 individui adulti e subadulti di ambo i sessi. Da una tomba famigliare, più volte rimaneggiata per fare spazio alle successive deposizioni, è stata rinvenuta una calotta cranica appartenente ad un soggetto femminile adulto che presentava una perforazione circolare misurante 30 mm circa di diametro, localizzata sul parietale sinistro a brevissima distanza dal bregma. Si tratta dell'esito di un intervento di trapanazione eseguito mediante un trapano a corona o ippocratico, strumento neurochirurgico particolarmente diffuso e rimasto in uso fino al XIX secolo. L'assenza di processi riparativi sui bordi della trapanazione suggerisce la morte della donna durante o poco tempo dopo l'intervento.
Grazie alla disponibilità della Biological Field Station di Ometepe (Nicaragua) (http://www.lasuerte.org/guiseppedonati.html), ed usufruendo dell’organizzazione logistica curata dalla responsabile della struttura, Renée Molina, gli autori hanno potuto guidare un gruppo di sette studenti italiani e statunitensi nella conduzione di una breve ricerca sulle scimmie urlatrici dal mantello (Alouatta palliata GRAY).
Il soggiorno sul campo è durato un mese, durante il quale gli allievi hanno seguito lezioni frontali ed esercitazioni in foresta, e sono stati aiutati nel lavoro di ricerca bibliografica sugli argomenti specifici individualmente assegnati.
Le lezioni frontali hanno riguardato i fondamenti teorici della primatologia (classificazione, evoluzione, organizzazione sociale, locomozione e postura, riproduzione, dieta, conservazione), insieme ai principali elementi metodologici delle ricerche in natura. Sono state considerate le regole di campionamento (sampling rules) e le regole di rilevamento (recording rules), sottolineando la necessità di ripetere la struttura grammaticale del tipo: soggetto azione oggetto (actor act recipient), e discutendo l'adeguatezza dei diversi approcci metodologici in funzione di specifici obiettivi di ricerca. È stata illustrata la classificazione dei comportamenti (statici, dinamici; eventi, stati) e il loro possibile livello di definizione (molecolare, atomico). Sono state quindi spiegate le tecniche per la definizione dell’etogramma e del time budget, per la stima dell’home range e della densità demografica, per la descrizione del contesto ecologico (disegno del trail, caratterizzazione della foresta).
Le esercitazioni in natura, quotidiane e parallele allo svolgimento delle lezioni frontali, hanno consentito di osservare gran parte dei comportamenti studiati, di cui è stato anche compilato uno schema riassuntivo, e di sperimentare le metodologie per il rilevamento dei dati.
Al termine del corso tutti gli studenti hanno superato un esame scritto e preparato una presentazione sui risultati preliminari che è stato possibile esaminare.
Il lavoro svolto costituisce la base di alcune tesi di laurea in primatologia che verranno discusse nell’Università di Pisa.